Sanitopoli, la Cassazione conferma la condanna a Del Turco: 3 anni e 11 mesi
Dieci anni dopo il suo arresto e quelli di molti componenti della sua giunta regionale d’Abruzzo, l’ex-governatore dell’Abruzzo ed ex-sindacalista Ottaviano Del Turco si è visto confermare dalla seconda sezione della Corte di Cassazione la condanna a tre anni e 11 mesi di reclusione per induzione indebita nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta sanitopoli abruzzese. In primo grado Del Turco era stato condannato alla pena di 9 anni e 6 mesi, poi ridotta prima a 4 anni e 2 mesi e, successivamente, nell’appello bis dinanzi ai giudici di Perugia, a 3 anni 11 mesi. Pena, questa, confermata oggi in Cassazione. Così come è stata confermata dalla Cassazione la condanna anche per l’ex-capogruppo della Margherita in Regione Abruzzo ed ex -consigliere regionale del Pd, Camillo Cesarone, a 3 anni e 9 mesi.
Ad accusare Del Turco di essersi fatto consegnare 850 mila euro, era stato l’imprenditore Vincenzo Angelini, titolare di Villa Pini a Chieti.
Ma il legale di Ottaviano Del Turco, il penalista Gian Domenico Caiazza, già annuncia polemico: «presto il giudizio di revisione su quel pugno di fango che è rimasto dalla famosa montagna di prove».
L’avvocato Caiazza si scaglia contro il procuratore di Pescara: «Dieci anni dopo, di quella “montagna di prove” della quale vaneggiava il procuratore di Pescara, è rimasto un pugno di fango – ha detto Caiazza – Assolto dall’associazione per delinquere, dalla miriade di abusi e falsi, da 20 delle 25 dazioni di denaro contestate, Ottaviano Del Turco avrebbe dunque ricevuto illecitamente – dei 6 milioni e mezzo originariamente contestati – 850mila euro, non si sa più come, non si sa più perché».
«Non essendogli stato trovato indosso un solo euro di quel fantomatico denaro – polemizza l’avvocato di Del Turco – si è ritenuto sufficiente poter desumere il reato dalle foto sfocate e sospette non della dazione del denaro, ma della presunta visita in casa sua dell’imprenditore Angelini. Un galantuomo innocente non può accontentarsi del crollo rovinoso dell’impianto accusatorio: quel pugno di fango è una infamia, una ingiustizia alla quale non possiamo arrenderci. Abbiamo lavorato duramente in questi ultimi mesi, e tra poche settimane depositeremo l’istanza di revisione di questa sentenza ingiusta, alla luce di fatti documentali e testimoniali incontrovertibili. Un pugno di fango è purtroppo sufficiente a distruggere la vita di una persona per bene, che ha onorato e servito da galantuomo le istituzioni della Repubblica; ma noi spazzeremo via anche quello».