2 agosto, la colossale “bufala” delle targhe “nere” del delitto Mattarella
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
Sulle targhe sequestrate nel covo di via Monte Asolone, a Torino, nel 1982 – targhe che dovrebbero dimostrare il coinvolgimento dell’estrema destra nel delitto di PierSanti Mattarella -, si sta costruendo – e non da oggi – una fantasiosa letteratura che rasenta, se non proprio configura il “depistaggio”, anche in relazione al processo per la strage del 2 agosto alla stazione di Bologna. Si faccia bene attenzione a tutti i passaggi, altrimenti è facile – come, per altro, sembrano gradire le parti civili nel dibattimento contro Gilberto Cavallini – confondersi nella ridda di numeri e teoremi. Il 6 gennaio 1980 viene ucciso PierSanti Mattarella e gli assassini fuggono a bordo di un’auto precedentemente rubata e, poi, ritrovata, targata “PA539016”. Ovviamente, la targa è falsa ed è stata composta tagliando e conservando la prima parte dell’originale – “PA53” – e accostandogli le quattro cifre – “9016” – ricavate da un’altra targa rubata, che nell’interezza indicava la sigla “PA549016”. Dunque, nelle mani degli assassini o dei loro complici, sarebbero rimasti gli spezzoni “6623” della targa originale della macchina e “PA54” della seconda e, se questi spezzoni fossero trovati in mano a qualcuno, sarebbe facilmente ricollegabile all’omicidio. Loris d’Ambrosio, nel 1989, in un documento ora prodotto nel processo Cavallini, mise quegli spezzoni di targa in relazione a quelli ritrovati nel covo gestito da “Terza posizione” a Torino e smascherato dai Carabinieri nel 1982. A illuminare il magistrato fu l’assonanza di alcuni numeri delle targhe ritrovate ai “neri” con quelle utilizzate per mimetizzare l’auto degli assassini di Mattarella e questa “illuminazione” fu successivamente ripresa, nel 2014, da un giornalista, Giovanni Grasso, che di fatto dà per scontato che in via Monte Asolone siano stati ritrovati i pezzi mancanti delle targhe degli assassini del fratello del capo dello Stato, del quale, per altro, lo stesso Grasso è diventato “portavoce”. Per di più, questi “spezzoni” di targa sono pure spariti dall’archivio dei “corpi di reato” di Palermo, aumentando il carico di mistero su quegli oggetti (in realtà, sono conservati a Roma, tra il materiale del processo per la morte di Ciccio Mangiameli). Però, esistono i verbali di sequestro – e non solo – che chiariscono clamorosamente il tutto. In via Monte Asolone, recita il documento dei Carabinieri di Torino, furono rinvenuti: <Due pezzi di targa di cui uno comprendente la sigla “PA” e uno contenente la sigla PA e il numero 563091>. La grande “illuminazione” di d’Ambrosio e Grasso è tutta qui: nel fatto che, tra la targa di Mattarella e quella di via Monte Asolone, ricorrerebbero gli stessi numeri “63091” e “6091”, in una coincidenza alquanto sospetta. E qui, siamo come al banchetto delle “tre carte”, dove con malizia astuta il prestidigitatore ha fatto vedere all’allocco di turno quello che non c’è. Infatti, per essere collegate al delitto Mattarella, le targhe dei “neri” qualsiasi numero avrebbero dovuto mostrare, tranne quelli della sequenza “6091”, poiché quegli stessi numeri restarono attaccati alla “Fiat 127” degli assassini. Il fatto, poi, che in due targhe, composte da 6 cifre sulle 10 disponibili – 0,1,2,3,4,5,6,7,8 e 9 – ne ricorrano quattro uguali non è affatto una coincidenza, bensì una probabilità con altissima percentuale di frequenza. Comunque, resta il fatto che, in quelle di via Monte Asolone manchino il “54” e il “6623”, che sono i residui delle targhe fatte a pezzi per mascherare l’auto incriminata. Inoltre, non bisogna essere geni del crimine o, di contro, Sherlock Holmes per capire come gli assassini di PierSanti Mattarella non avessero alcun motivo per conservare le parti residuali delle targhe tagliate che avrebbero potuto, appunto, costituire prova decisiva di colpevolezza e che non rappresentavano certo materiale raro e prezioso da conservare per altri colpi (di targhe è piena ogni città civilizzata del mondo). Ma c’è di più: secondo Gioacchino Natoli – giudice antimafia al di sopra d’ogni sospetto e che periziò le targhe di via Monte Asolone – <la targa PA 563091 era integra e non ricomposta>. Lo ha ripetuto anche lo scorso 23 maggio al “Fatto quotidiano”, aggiungendo di ricordarsi di aver fatto mettere a verbale l’importante particolare. A maggior ragione, non può avere nulla a che fare con le targhe di Mattarella. Dunque, di cosa si sta parlando, a Bologna, in queste settimane, cercando d’incollare nuovamente a Cavallini – a dispetto delle sentenze passate in giudicato e della logica – l’omicidio di Mattarella; a Fioravanti i legami con la Mafia e a “Terza posizione” – il cui leader, Roberto Fiore, è a sua volta atteso nell’aula del dibattimento – un ruolo di collegamento e favoreggiamento? Assolutamente di niente. Una colossale “suggestione” che, va ripetuto, se fosse stata alimentata dalla difesa dell’imputato tutti non esiterebbero a definirla “depistaggio”.