Strage di Bologna: la richiesta dello “sciacallo” e i nodi giuridici
Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:
Caro direttore,
La lettera con cui Ilich Ramirez Sanchez – anche noto come lo “Sciacallo”, nome di battaglia di quello che è stato certamente il più pericoloso terrorista attivo in Europa negli anni ’70/’80 – si offre per testimoniare al processo per la strage di Bologna solleva un sottile – forse, neanche tanto sottile- problema giuridico. Gilberto Cavallini – com’è stato detto fino allo sfinimento – è già stato processato per il 2 agosto e riconosciuto colpevole di concorso in banda armata finalizzata anche al compimento di quell’attentato; se oggi torna alla sbarra è perché – secondo le parti civili -, in realtà, lui avrebbe proprio partecipato a collocare l’ordigno. Quindi, più che essere, “deve essere” un nuovo processo: altrimenti si tratterebbe di una perdita di tempo e di pubblico denaro del tutto ingiustificabile, data la regola del “no bis in idem” che sovrintende ovunque il Diritto penale. Per altro, per le stesse parti civili – quelle che mai e poi mai metterebbero in discussione le precedenti sentenze che hanno condannato Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini – si tratta di un nuovo “inizio”, dal momento che non mirano affatto alla semplice associazione di Cavallini agli altri tre; bensì tentano di dimostrare come i Nar fossero stati – almeno in quell’occasione – la “longa manus” di un’associazione delinquenziale-terroristica di massoni e “spioni” che agivano fuori dal contesto istituzionale, con un determinato movente che non è mai stato cristallizzato in nessuno dei precedenti pronunciamenti della magistratura. Lo stesso Licio Gelli, gli stessi Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte – gli uomini del Sisde condannati per “depistaggio” -, in questa cornice assumerebbero un ruolo ben più attivo e inquietante. Una cornice, a dire il vero, alquanto fantasiosa, questa realizzata dai legali dell’Associazione familiari vittime del 2 agosto, ma comunque destinata a reggere una “tela” completamente diversa da quella retta finora, con l’unica eccezione degli esecutori materiali. Di più: l’audizione richiesta di Roberto Fiore è un palese tentativo di ridisegnare completamente anche il “milieu” estremistico che avrebbe pensato e compiuto il terribile attacco alla democrazia italiana. Ora, tornando a Cavallini, se i magistrati oggi devono stabilire se abbia o meno “compiuto” l’attentato e non più solo “partecipato” al sodalizio in cui maturò la determinazione di farlo; per quanto s’intenda tenere conto e rispettare le precedenti sentenze, apparirebbe “obbligatorio” vagliare anche tutte le altre ipotesi possibili, per quanto anche queste siano state già vagliate in passato. Soprattutto alla luce del fatto che il “vaglio” delle ipotesi alternative, in merito alla strage di Bologna, è stato qualcosa, a dir poco, di insufficiente, forse addirittura di ridicolo. La Corte d’Appello di Bologna ha già respinto, all’inizio del dibattimento, la richiesta della difesa di Cavallini di ascoltare in aula Sanchez. Adesso, questa lettera scritta poco più di un mese fa dal terrorista detenuto in Francia, ripropone fortemente il tema: Cavallini potrebbe essere giudicato giustamente, in un procedimento in cui fosse impedito pregiudizialmente alla sua difesa di dimostrare – o almeno tentare di dimostrare – che quanto che gli viene attribuita come colpa ricade, invece, sulle spalle di altri? Non sarebbe una compressione gigantesca – e anche ignobile – del diritto a protestare la propria innocenza, diritto insopprimibile di qualsiasi imputato di qualsiasi processo penale? È facile che la Procura si opponga e chieda di respingere l’offerta di Sanchez, sostenendo che ciò che lo “Sciacallo” potrà dire in aula è già stato ascoltato – e proprio dal “pm” che incalza Cavallini, Enrico Cieri – qualche anno or sono, senza alcun concreto elemento di novità. È facile che ciò accada, ma sarebbe il momento in cui la Procura accetterebbe d’indossare la veste autentica del grottesco, dopo mesi e mesi trascorsi a condurre in aula esami testimoniali in cui non è emerso nulla, ma proprio nulla di diverso da quanto è conosciuto da anni o decenni; per altro, sulla base di indagini che – parola del maggiore Goffredo Rossi, dei Ros Carabinieri – non hanno preso in considerazione niente che non fosse già a conoscenza degli inquirenti al momento in cui la posizione dell’imputato era stata nuovamente considerata e archiviata. Come dimostra la sostanziale “distrazione” della grande opinione pubblica, forse nessuno in Italia sentiva il bisogno di questo ennesimo processo per la strage di Bologna; ma se si deve celebrare – e, ormai, si deve celebrare; anzi, si sta celebrando – dev’essere realmente un nuovo processo, con un occhio attento a tutte le possibile soluzione e, allora, anche Sanchez dev’essere portato in aula.