Ponte Morandi, per la demolizione spuntano nomi già indagati sugli appalti

11 Set 2018 21:44 - di Paolo Lami

Due anni fa la prescrizione li aveva salvati in corner evitandogli il processo nonostante il rinvio a giudizio con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta nell’ambito degli appalti sulle bonifiche. Ma ora la torta milionaria della demolizione di quel che resta del Ponte Morandi ha risvegliato antichi appetiti. E su quel moncone sgraziato si sono gettati alcuni di quelli che, con gli abbattimenti e le bonifiche, hanno fatto parecchia fortuna, non solo a a Genova, negli anni passati. E non sempre in maniera trasparente. I soliti nomi di sempre. Quegli stessi che restarono impigliati nelle grane giudiziarie di un’inchiesta, per certi  versi “storica”, sugli appalti “pilotati” delle cosiddette bonifiche dei siti industriali, in particolare le aree dismesse delle acciaierie Ilva di Cornigliano. E che inciamperanno, alcuni anni dopo, anche in altre inchieste in giro per l’Italia. L’ultima chiusura indagini in cui ricorre il nome di una delle aziende che sono candidate a demolire meccanicamente il Ponte Morandi è di pochi mesi fa, a giugno, con l’ipotesi, formulata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, di smaltimento illecito di rifiuti anche pericolosi.

Ma andiamo con ordine. Era il 2008 e l’allora pubblico ministero Francesco Pinto, oggi uno dei tre procuratori aggiunti di Genova, mise nel mirino una serie di aziende, specializzate nella bonifica delle aree industriali, accusandole di aver creato un cartello di imprese per spartirsi a tavolino gli appalti e i subappalti delle demolizioni di edifici e infrastrutture, in particolare delle acciaierie Ilva nel quartiere genovese di Cornigliano «falsando – scrissero all’epoca i magistrati – in maniera consistente, il gioco della libera concorrenza».

Quasi 20 milioni di euro di lavori gestiti da Sviluppo-Genova, braccio operativo della Società per Cornigliano nel cui Cda siedevano alcuni diessini, attraverso una decina di appalti distribuiti per risanare l’area industriale di Genova su cui gravavano i vecchi stabilimenti Ilva, con i suoi altoforni, la cokeria e i gasometri. E spartiti secondo un meccanismo di presentazione delle offerte alle gare d’appalto, con ribassi concordati dal 23 al 32 per cento, ribassi che consentivano, appunto, di far vincere sempre i soliti nomi, quel gruppo di imprese amiche che, poi, si scambiava anche i subappalti concedendoli a chi era rimasto a bocca asciutta durante la gara.

Per capire quanto si giocò con i soldi dei contribuenti basti pensare che, all’epoca, l’area venne divisa in due parti: un’area, con un altoforno toccò all’amministrazione pubblica, l’altra, area, con un altro altoforno gemello, toccò ai privati, gli industriali Riva.
I privati – giacché i soldi che ci mettevano erano i loro – concordarono la demolizione dell’altoforno con l’esplosivo. Costo dell’operazione: 800.000 euro circa. L’amministrazione pubblica, invece, scelse, per il suo altoforno, identico all’altro, la strada della demolizione meccanica con i macchinari. Costo dell’operazione, pagata con i soldi dei contribuenti: circa 4 milioni di euro.

Ora la faccenda rischia di ripetersi in maniera speculare con la demolizione del Ponte Morandi che il Commissario straordinario per la ricostruzione, Giovanni Toti, vorrebbe fare un po’ con l’esplosivo, un po’ con i macchinari con le pinze idrauliche. Proprio quei macchinari di due aziende su cui indagò una decina di anni fa l’attuale procuratore aggiunto Francesco Pinto senza riuscire a portare alla sbarra gli imputati che beneficiarono della prescrizione.

Otto anni di inchiesta, 25 indagati14 dei quali rinviati a giudizio poco più di due anni fa, il 7 aprile 2016, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta nell’ambito degli appalti ma anche con la certezza matematica che si sarebbero salvati – come poi, effettivamente è successo – perché la prescrizione incombeva giacché gli episodi contestati dall’allora pubblico ministero Francesco Pinto risalivano al 2007 e i ricorsi in Cassazione, uniti a qualche errore giudiziario, avevano trascinato per nove anni la vicenda.

Ma alcune delle ditte che oggi scalpitano e allungano il collo per mettere le mani sull’appalto milionario della demolizione del Ponte Morandi non sono inciampate solo sull’inchiesta genovese degli appalti pilotati all’Ilva.

Vi sono diverse vicende giudiziarie in cui ricorrono i nomi degli imprenditori e delle aziende che sono in pole position per aggiudicarsi la demolizione meccanica del Ponte Morandi.
In un caso, addirittura, il titolare di una delle aziende di demolizione meccanica che si è proposto per il lavoro sul troncone del viadotto Polcevera ha una sfilza di precedenti penali  pesantissimi, alcuni finiti anche con condanne e patteggiamenti, con l’accusa, fra l’altro, di corruzione, furto, stupefacenti, armi, ricettazione, associazione a delinquere, lesioni, traffico di rifiuti, addirittura di amianto.

Un’altra vicenda giudiziaria, come detto, è ancora in corsa. Anzi è freschissima. E riguarda, appunto, l’accusa di smaltimento illecito di rifiuti formulata dai pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo i quali, esattamente 80 giorni fa, il 23 giugno scorso, hanno chiuso le indagini su un’Ati, un’associazione temporanea di imprese, in cui figurano, fra l’altro, anche personaggi accusati, in altre inchieste, di essere addirittura affiliati al clan Santapaola.

L’aspetto forse più clamoroso è che fra i nomi degli indagati nell’inchiesta della Dda di Palermo sullo smaltimento illecito di rifiuti campeggiano, gomito a gomito, anche i nomi di Giuseppe Bono, amministratore delegato Fincantieri, cioè la società pubblica chiamata a ricostruire il nuovo Ponte Morandi e quelli del presidente e del Direttore tecnico dell’altra azienda che si è, invece, candidata a demolire il vecchio Ponte Morandi e che è lì lì per mettere le mani sull’appaltone milionario.
La stessa azienda il cui presidente era stato rinviato a giudizio appena 2 anni fa dai giudici di Genova per gli appalti pilotati nella demolizione dell’Ilva di Cornigliano e l’aveva scampata grazie alla prescrizione.

Una vicenda a dir poco imbarazzante che, secondo fonti che vogliono mantenere l’anonimato, il governo M5S-Lega non intende assolutamente digerire. Almeno per quel che riguarda le aziende che dovrebbero demolire il Ponte meccanicamente e i cui precedenti andrebbero a collidere con il Codice degli appalti.

Ed è qui che il governo locale targato Forza Italia e quello nazionale verde-giallo stanno per entrare, di nuovo, in rotta di collisione.
Il nodo gordiano riguarda l’opportunità di far lavorare alla demolizione di Ponte Morandi chi fu accusato, dieci anni fa, dalla Procura genovese, di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta nell’ambito degli appalti sulle bonifiche e ha scampato il processo solo grazie alla prescrizione. Ma anche di far partecipare chi oggi è indagato per smaltimento illecito di rifiuti anche pericolosi. O chi ha una sfilza di precedenti penali pesantissimi.
Una circostanza vista come il fumo negli occhi da chi, come l’attuale governo, ha fatto della legalità, soprattutto negli appalti pubblici, una bandiera irrinunciabile.

Commenti

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  • Giuseppe Tolu 12 Settembre 2018

    E così andò tutto in prescrizione e tutti vissero felici e contenti, pronti ad iniziare una nuova operazione di malefatte e anche di più. Una cosa di buono credo ci sia in alcune parti dell’Africa, chi viene sorpreso a rubare per la prima volta subisce l’amputazione di una mano (quanti pensionati per invalidità in Italia?); se trovano poi un monco a rubare per la seconda volta credo passino al collo ( e si, molta meno gentaglia in giro). E badate bene, ognuna di queste operazioni si svolge al massimo entro una settimana. Tutto questo, per carità, non da mettere in pratica da noi, scherziamo!

  • Paolo Carnevale Lavezzoli 12 Settembre 2018

    La nostra burocrazia e le nostre leggi sono talmente farlocche che non mi meraviglierei se venissere denunciati per abuso d’ufficio, quegli amministratori che non interpellano le ditte precedentemente inquisite perché pulite per la legge.

  • Giuseppe Forconi 12 Settembre 2018

    Allora, questo e’ il momento e l’occasione per dimostrare a noi italiani abitualmente calpestati…… che le cose si faranno sul serio e correttamente, incominciando dal tenere lontani questi tizzi o meglio chiamiamoli vipere. Il ponte verra’ demolito o ricostruito o quello che sara’ necessario, da ditte e personaggi PULITI. Ad ogni modo staremo a guardare e vedremo se la lunga mano morta dei comunisti , riciclati nel PD e in alcune altre sporche zone della politica, si terranno lontani da Genova. Hop i miei dubbi perche’ il comunismo e talmente sporco che non riuscira’ a star fuori senza creare altri caos,. porcherie e danni alle spalle del Popolo Sovrano.

  • 11 Settembre 2018

    Povera Italia…mi fa piangere!!!