Marocchino irregolare portato in caserma spacca la vetrata: assolto

1 Set 2018 15:38 - di Carlo Marini

Con un pugno ha mandato in frantumi la porta a vetri della sala d’aspetto della caserma dei carabinieri dove era stato condotto per accertamenti. Un gesto che lo ha portato a processo, ma che è finito con una inattesa assoluzione. È successo ad Avezzano, dove un nordafricano ha dato in escandescenze dopo essere stato condotto in caserma. Lo riporta il quotidiano abruzzese Il Centro. 

Il gesto del marocchino è stato frutto di una crisi di nervi

Secondo il giudice del tribunale di Avezzano, Marco Sgattoni, il gesto di Tebba Abdennaji, un marocchino di 35 anni finito nei guai con l’accusa di danneggiamento, «è stato il frutto della reazione immediata seppur eccessiva alle informazioni apprese dai carabinieri riguardo all’esito dei controlli a cui sarebbe conseguita la denuncia per il reato di clandestinità e l’espulsione dal territorio nazionale». Il maghrebino è stato quindi assolto perché il fatto non è punibile per particolare tenuità. Il marocchino, che non aveva a suo carico precedenti penali, era difeso dagli avvocati Luca e Pasquale Motta. Per lui è comunque scattato il provvedimento di rimpatrio perché i propri documenti, secondo quanto previsto dalla legge, non erano in regola.

Commenti

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  • MarioD6 2 Settembre 2018

    Come sempre il magistrato mette fuori il delinquente magrebino o diversamente bianco per la tenuità del reato o perché ha agito in stato di necessità. Prego ardentemente ogni sera che lo stesso magistrato e gli avvocati che difendono queste bestie selvagge provino la loro tenuità di reato sulla propria pelle o, meglio ancora, su quella delle loro mogli e/o figlie.

  • sergi 2 Settembre 2018

    Marocchini, maghrebini, spacciatori di droghe, violenti, devono essere immediatamente rimpatriati a casa loro.

  • enrico 2 Settembre 2018

    altro giudice da t. s. o.

  • Giuseppe Tolu 1 Settembre 2018

    Roba d’altro mondo! Mi domando cosa ci stiano a fare i magistrati e sapere il perché del non condannare simili elementi