Ma Almirante si sarebbe messo in fila da Starbucks? La destra e il caffè populista
Ma il “frappuccino” di Starbucks è di destra o di sinistra? Rilancia la questione Il Foglio, che critica i cinguettii sovranisti di Giorgia Meloni e Matteo Salvini contro la caffetteria aperta a Milano da Starbucks (la più grande d’Europa) in difesa del gusto italico. Tutto ciò sulle orme di Diego Fusaro, il filosofo che ha invitato a bere birra anziché caffè americano e che ha dato dei pecoroni a quelli che si facevano ore di fila per entrare nel nuovo tempio del “turbocapitalismo”. Si intuisce che Il Foglio non gradisce questa deriva autarchica sul caffè. Infatti chiosa: “Ve lo immaginate Almirante che discute di tostatura e colonialismo?“. Anche se forse l’interrogativo giusto sarebbe stato un altro: ma Almirante si sarebbe messo in fila all’alba per gustarsi il caffè di Starbucks?
Ancora sul Foglio, Maurizio Gasparri rievoca i tempi in cui nel FdG missino non si beveva Coca Cola, respingendo con le bollicine Usa l’imperialismo a stelle e strisce. Negli anni Ottanta quello stesso FdG organizzava lanci di uova contro i McDonald’s che aprivano i battenti nei centri storici delle città d’arte. Quel Fronte giovanile, ingenuamente no global, trovava indecente che si vendesse junk food a Trinità dei Monti o in piazza della Signoria. Un fremito anticonsumista, più che patriottico, che durò un batter di ciglia, perché ci pensò il ciclone Berlusconi con le sue tre “i” (inglese, impresa, informatica) a colonizzare la destra che gridava “Americani a casa, cosacchi nella steppa, Europa nazione, nazione sarà”.
La politologa Sofia Ventura trova che oggi Salvini indichi in Starbucks, nel caffè di una multinazionale, il nuovo nemico contro cui si scaglieranno “masse di followers pronti a dare mazzate”. In verità tanto la Lega quanto la destra di provenienza missina facevano del made in Italy, della difesa delle tradizioni locali e del vanto dell’Italia dei mille campanili una bandiera fin dagli anni Novanta e sulla scia non di Salvini, ma degli editoriali di Giano Accame sui marchi storici italiani caduti in mano alle multinazionali. Era un’anima della destra che si nutriva degli scritti del padre del comunitarismo Ferdinand Tönnies o delle pagine di Alain de Benoist sul patriottismo identitario. Ciò per dire che non si trattava certo solo di bere aranciata al posto della Coca Cola o di preferire caffè italiano al caffè americano, ma che esisteva qualcosa di più profondo e importante di una bevanda che si riteneva culturalmente in gioco. Tra l’altro, le bevande e il cibo non vanno mai sottovalutati: Piero Camporesi insegna, e con lui tanti altri storici delle “cose minute”, che le grandi rivoluzioni culturali cominciano sempre a tavola.
Tornando all’oggi, piuttosto che indagare sui caffè preferiti dalla destra, è interessante notare come la sinistra no logo si sia convertita all’ineluttabilità della globalizzazione, ritenendosi un’élite anche quando sceglie l’espresso da bere. E’ infatti anche una questione di prezzo: Starbucks lo vende a 1,80, un bar normale – diremmo un bar populista – a 1 euro, massimo 1,20 euro. “Oggi i consumatori di sinistra – leggiamo su Rivista Studio – hanno fatto pace con i grandi brand, mentre Starbucks annuncia che assumerà 10 mila rifugiati e pianta le palme che mandano i leghisti su tutte le furie”. Il nuovo logo del gusto globalizzato non può essere più McDonald’s – destinato ad essere travolto dall’ondata salutista – ma una caffetteria – che rievoca peraltro i fasti della Milano illuminista di Verri e Beccaria – può funzionare benissimo.
In mezzo a questa guerra postideologica ci stanno quelli che si mettono in fila alle 4,30 del mattino per gustarsi il caffè di Starbucks. E non certo perché amano il caffè americano ma per avere l’impressione/sensazione di vivere qualcosa di esclusivo e unico. Starbucks non è ancora infatti un marchio che colonizza, è un’attrazione. E come tale il pubblico l’ha vissuta.
Specie quando si tratta di caffè posso assicurare tutti quanti che per berne uno veramente buono bisogna andare a Palermo o a Napoli. Tutto il resto è brodaglia perché altrove il caffè non sanno farlo a regola d’arte.
Il libero arbitrio, eredità della filosofia greca, contempla che ognuno possa bere ciò che vuole dove vuole. Infatti sono a gustarmi il mio splendido, aromatico ed inebriante espresso del caffè Meletti in piazza del popolo di Ascoli, uno dei più famosi caffè storici d’Italia. E l’aria che si respira è la stessa che in passato ha visto Sartre, Hemingway, Puccini seduti ai tavoli del Meletti. Nella vita ci si può accontentare del meglio!
Ma i vari politici non hanno altro da discutere? Che importanza ha una nuova caffetteria rispetto ai nostri problemi economici?
“”non ti curar di lor, ma guarda e passa””.
E poi quante caffetterie di nostro espresso ci sono in America? Mica protestano gli americani!!
Purtroppo siamo poco seri
Che smania di bere sbobba americana! l’Italia ha bevande, cibi e gusti migliori…. E poi perché finanziare i Mormoni ?
Sono pienamente d’accordo con Laura. Evviva i prodotti italiani!
Non capisco quale sia il problema, se non ti piace quel caffè non ci vai. Non so perché si debba sempre polemizzare su questa o quella cosa. A me per esempio quella brodaglia non piace e quindi non ci vado. Finita lì la cosa. Ognuno è libero di pensarla come vuole.
CIOFECA! Di questo si tratta.
Sono assolutamente certo che Giorgio Almirante non ci avrebbe nemmeno pensato a sedersi al tavolo di uno Starbucks…
Già è caro il caffè a un euro…. se poi devo pagare 80 centesimi in più per fare anche la coda…. ma mi stupisco di si tanta coglioneria…. dopotutto la gente è libeta di fare cio che vuole…anche di farsi tirare per il c..o.
E purtroppo che fan businnes come Starbucks ce ne son molti
Il problema non è se il caffè di Starbucks è di destra o di sinistra, il problema è che è una ciofeca e per di più costoso.
stiamo facendo troppa pubblicità ad un nuovo colosso del cibo spazzatura amaragano
non ci interessa, quando ho voglia di un buon caffè o cappuccino so dove andare nei bar (Italiani) che da sempre fanno un prodotto artigianale ed affidabile e di qualità
i miei soldi vanno solo agli Italiani neanche un centesimo va all’estero.
Concordo con Laura e conferisco il diploma d’imbecille a chi privilegia i prodotti spazzatura stranieri.
A prescindere dal resto, il Regine Fascista è da esaltare per la sua saggia politica autarchica. Noi ragazzi della GIL eravamo gagliardi e tosti grazie al consumo di eccellenti prodotti nazionali benché la Cocacolla e simile lordura fossero reclamizzate non meno di oggi.