8 settembre, quando Badoglio fu buttato giù dal letto dal generale Usa
La tragedia dell’8 settembre 1943 ebbe un prologo grottesco. Roma, ore tre del mattino, esattamente 75 anni fa: il capo del governo, maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, si presentò mezzo insonnolito e in vestaglia a un esterrefatto generale americano, Maxwell Taylor, comandante della Centunesima divisione aviotrasportata. Taylor era da qualche ora nella Capitale, in missione segreta, per coordinare con i vertici militari italiani l’impiego dei suoi uomini al fine di impedire l’occupazione di Roma da parte delle forze tedesche. Di lì a qualche ora gli Alleati avrebbero annunciato l’armistizio con l’Italia firmato a Cassibile il 3 settembre dal generale Castellano, in rappresentanza di Badoglio e, naturalmente, di Re Vittorio Emanuele III. Era pertanto necessario approntare le necessarie contromisure alla prevedibile, furiosa reazione germanica.
Generali smarriti e confusi
L’ufficiale Usa pensava di incontrare a Roma gente determinata, adrenalinica, padrona della situazione. Grande fu la sua sorpresa quando incontrò invece soggetti smarriti, confusi e imploranti. «Castellano ci ha detto che l’armistizio non sarebbe stato reso noto prima del 12», gli aveva farfugliato, poco prima dell’incontro con Badoglio, il generale Giacomo Carboni, comandante del Corpo corazzato e contemporaneamente del Sim, il servizio segreto militare. Non diversa fu la risposta del capo del governo, il quale implorò Taylor di inviare un cablo a Eisenhower affinché il comandante in capo delle forze anglomaericane rimandasse tutta l’operazione. E poi aggiunse: «Non lasciateci soli. Se i tedeschi ci prendono…». Eisenhower ignorò totalmente la richiesta italiana. Alle 17,30 la Reuters annunciò la resa italiana. L’ambasciatore tedesco a Roma, Rudolf Rahn, telegrafò immediatamente a Hitler: «Ci hanno traditi». E si scatenò, di lì a breve, la Nemesi tedesca contro l’Italia e il suo Esercito.
L’Esercito italiano allo sbando
Quello che accadde nei giorni immediatamente successivi non ha eguali nella storia europea, e forse neanche mondiale: la liquefazione di una grande organizzazione militare. Interi reparti italiani, dislocati tra Penisola, Jugoslavia, Grecia e altre zone di impiego, furono disarmati senza colpo ferire dalle forze tedesche. E, in molti casi, si trattò anche di forze tedesche notevolmente inferiori, sia nell’entità numerica sia nell’armamento. Emblematico il caso di Roma. I tedeschi potevano contare solo su due divisioni, una corazzata e una composta da paracadutisti. Gli italiani avrebbero invece potuto impiegare tre Corpi d’armata, per un totale di otto divisioni. Invece fu la resa, a parte i combattimenti a Porta San Paolo. Perché una simile assurdità, al netto naturalmente del migliore armamento e della più temibile preparazione delle forze germaniche? La risposta è miseramente semplice: nessuno aveva predisposto un piano, nessuno aveva impartito ordini.
Il lugubre comunicato di Badoglio
Tutti i comandanti dei reparti italiani seppero dell’ armistizio solo dalla radio, quando, alle ore 19,45, Pietro Badoglio lesse il lugubre comunicato concordato con il Re: «Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Badoglio non ebbe neanche il coraggio di dire «provenienza tedesca». Ma vale comunque la pena ricordare che nelle zone non raggiunte dalle onde radio, i soldati italiani si videro disarmati dagli alleati del giorno prima senza neanche sapere perché.
La “morte della Patria”
Al dunque, il disastro più grave dell’8 settembre derivò dalla totale incapacità, superficialità. irresponsabilità dei “generalissimi” italiani, a partire, appunto, dal “generalissimo” in capo, Badoglio, che la sera del 7 settembre se ne andò tranquillamente a nanna pur essendo stato avvertito che, in quelle ore decisive, circolava per Roma un generale americano incaricato di un missione cruciale. Poi, certamente, quandanche i vertici militari italiani si fossero fatti trovare preparati, ciò non avrebbe attenuato la colpa morale e politica del voltafaccia e del cambiamento di fronte. Però, almeno, non ci sarebbero stati l’implosione dello Stato, il fuggi fuggi generale, il tutti a casa e quella che Ernesto Galli della Loggia, in un pamphlet di oltre vent’anni fa, definì la “morte della Patria”.
Ieri Badoglio, oggi Benetton
È uno spettro che continua a inseguirci anche dopo 75 anni, al di là del giudizio politico sui protagonisti di quella tragica temperie storica. È l’idea, fastidiosa, che le classi dirigenti italiane, le strutture di comando del nostro Paese, siano afflitte da una sorta di tara ereditaria, una malattia che si manifesta nella tendenza all’irresponsabilità, alla superficialità, alla fragilità di nervi. “Ora e sempre” 8 settembre: forse è uno stereotipo gratuito e ingiusto. Però, nella vicenda nazionale incontriamo anche oggi storie incredibili e tragiche che ci riportano all’insostenibile leggerezza e al pressappochismo di vasti settori delle élites. L’ultimo effetto della “sindrome” dell’8 settembre lo possiamo trovare, senza tema di smentite, nel crollo del Ponte Morandi a Genova. Le segnalazioni di una possibile tragedia erano arrivate da tempo, ma nessuno s’era realmente preoccupato di correre ai ripari. Il principale responsabile fu ieri Badoglio. Oggi sono i Benetton, i titolari della società Autostrade per l’Italia che aveva la responsabilità di impedire il crollo del ponte di Genova. Ma lo spettacolo dello scaricabarile dopo i disastri non è per questo meno misero. C’è sempre un “cigno nero” , imprevisto, che rivela la grandezza delle tragedie e la pochezza degli uomini.
L’italia è la sua chiesa che perdona il figlio irresponsabile e scialacquatore , chiamato prodigo !, perdona i preti pedofili invece di mettergli una pietra da macina al collo come prescrive Gesù, elogia i poveri quando Gesù non volle vendere il vaso di nardo per loro o quando maledice chi sotterra il talento. Ora se non cambia la guida morale del Paese avremo sempre dei corrotti, scialacquatori del pubblico denaro e irresponsabili che con i soldi rubati fidano nelle lungaggini della Giustizia. Già l’A.D. e il responsabile sicurezza avrebbero dovuto essere fucilati invece sottigliano tra responsabilità e colpa. La colpa ce l’hanno quei 43 che non dovevano essere lì, che cavolo ci facevano lì a quell’ora!