Ricerca, sclerosi multipla: proteina dell’Alzheimer può svelarne l’evoluzione
Dalla proteina dell’Alzheimer un aiuto a predire il futuro clinico dei pazienti con sclerosi multipla. Uno studio italiano guidato un team milanese, pubblicato sul Multiple Sclerosis Journal, dimostra infatti una correlazione, già nelle fasi precoci di patologia, tra basse concentrazioni di beta-amiloide presenti nel liquido cerebrospinale e una prognosi peggiore. La proteina, nota per il suo ruolo nella malattia che ruba i ricordi, a livello liquorale sarebbe quindi un nuovo biomarcatore in grado di prevedere la progressione della sclerosi multipla.
Sclerosi multipla, in uno studio il ruolo della beta-amiloide
Il lavoro è coordinato da Elio Scarpini, direttore Uosd Malattie neurodegenerative della Fondazione Irccs Policlinico, Centro Dino Ferrari dell’università degli Studi di Milano, con la collaborazione dell’Unità di Neuroradiologia e oftalmologia del Policlinico e del Laboratorio di neuroimmagini della Fondazione Irccs Santa Lucia di Roma. La sclerosi multipla, ricordano gli autori dello studio, è la più comune malattia infiammatoria cronica del sistema nervoso centrale. È una patologia immunitaria che comporta un danno della mielina, la guaina che riveste i neuroni. Diversi studi suggeriscono però anche un ruolo della morte neuronale, la cosiddetta neurodegenerazione, nella patogenesi della malattia. L’obiettivo della ricerca – riferiscono dalla Statale di Milano – è stato appunto quello di «indagare il possibile ruolo prognostico dei livelli di beta-amiloide nel liquido cerebrospinale (Csf), mediante la determinazione di un valore soglia per classificare i pazienti in progressione lenta e veloce, per valutare una possibile associazione con il danno della sostanza bianca e grigia cerebrale già nelle prime fasi della malattia, e per fornire ai clinici un aiuto per identificare tempestivamente strategie terapeutiche più o meno aggressive».
La proteina dell’Alzheimer e la progressione della sclerosi multipla
Sono stati reclutati 60 pazienti, sottoposti per 3-5 anni a regolari valutazioni cliniche e a un’analisi del Csf così da determinare i livelli di beta-amiloide, nel Laboratorio di genetica e neurochimica diretto da Daniela Galimberti, e a due risonanze magnetiche cerebrali: al basale e dopo un anno. «Sono stati osservati livelli liquorali inferiori di beta-amiloide nei pazienti con una più rapida progressione di malattia – spiega Anna Pietroboni, promotore e primo autore dello studio – dimostrando come la proteina sia un predittore del peggioramento clinico nella sclerosi multipla». La ricerca, ragionano gli esperti, suggerisce anche un’ipotesi di studio, ovvero «che livelli bassi di beta-amiloide possano associarsi a una diminuita capacità di riparazione mielinica e assonale, evidenziata da un precoce perdita di sostanza bianca e grigia cerebrale». Tuttavia, puntualizzano gli autori, «il ruolo preciso svolto dalla beta-amiloide nella sclerosi multipla rimane ancora da determinare».