Strage di Bologna, anche Google Maps “assolve” Cavallini (e non solo lui)

10 Ago 2018 16:28 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

gli attuali giudici della Corte d’Assise di Bologna, togati e popolari, rispetto ai loro predecessori che giudicarono Francesca Membro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini, dovranno superare un nuovo “ostacolo tecnologico”, se intenderanno condannare “serenamente” Gilberto Cavallini: Google maps o, in alternativa, un qualsiasi moderno “navigatore” da automobile. Tranquilli, nessuno è vittima del caldo: si tratta di un elementare conseguenza logica desunta dalla ricostruzione dell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, così come si è “cristallizzata” nelle sentenze passate in giudicato e che ancor oggi chi vorrebbe vedere condannato anche Cavallini insieme agli altri tre non mette in discussione. Infatti, secondo la “versione ufficiale”, la mattina del 2 agosto 1980 i terroristi lasciarono Villorba di Treviso dopo le ore otto del mattino, raggiungendo il capoluogo emiliano per collocare la bomba e facendolo esplodere esattamente alle 10 e 25. Ora, se si arriva sul luogo del delitto e si accende un navigatore, digitando “Villorba di Treviso”, sul display comparirà l’indicazione: 187 km; tempo di percorrenza 1 ora e 57 minuti. Ora, anche tenendo conto che i condannati siano partiti per Bologna proprio dieci minuti dopo le otto (il che è improbabile, essendo giunta in casa di Cavallini la madre della sua fidanzata alle 8, per prendere in custodia il neonato del terrorista, prima che lui uscisse di casa) e che gli attentatori abbiano preso 5 minuti e non di più per allontanarsi dalla stazione prima della deflagrazione, i tempi sono al limite: avrebbero viaggiato senza ostacoli, raggiungendo l’obiettivo con soli 10/12 minuti di tempo per compiere l’attentato. Certo, potrebbero aver viaggiato rapidamente, nel tratto autostradale, soprattutto in quegli anni in cui i limiti di velocità praticamente non c’erano, ma, in questo caso, è necessario prevedere una sosta da qualche parte – a Bologna, prima di Bologna, dove? – per prelevare l’ordigno, poiché è impensabile guidare come pazzi per 200 chilometri con 20/25 chili di esplosivo a bordo in una caldissima giornata d’agosto. Se hanno sostato da qualche parte, i tempi di percorrenza ritornano a essere quelli precedentemente indicati; se, al contrario, la bomba è stata portata e consegnata agli attentatori nei pressi della stazione, non si capirebbe quale ragione avrebbe indotto un sodalizio criminale a far trasportare fino a pochi metri dall’obbiettivo la bomba, per poi farla depositare nel luogo dell’eccidio da altri, facendoli arrivare da un’altra regione. È cronologicamente possibile, ma è assurdo nella logica e nella pratica. Per altro – come avrebbe testimoniato il responsabile della rete autostradale veneta, chiamato a deporre della difesa di Cavallini, ma non ammesso e non se ne comprende il motivo -, i dati suddetti che ciascun giudice del processo in corso potrà verificare personalmente col suo “smartphone” saranno “al lordo” delle modifiche intervenute negli anni nella rete viaria che collega il Veneto con l’Emilia: in particolare, “al lordo” della “bretella” che oggi, rispetto ad allora, permette a chi, da Villorba di Treviso, deve raggiungere Bologna, di by-passare la tangenziale di Mestre. Quest’ultimo, ancor oggi, è un tratto di strada trafficatissimo praticamente in ogni giorno dell’anno e a qualsiasi ora e certamente lo fu anche il 2 agosto 1980, quando l’intera rete autostradale è presumibile – si trattava pur sempre del primo week-end di ferie per tutti – fosse caratterizzata da traffico intenso. Ma anche se fosse stata libera miracolosamente, la tangenziale di Mestre avrebbe allungato la strada di 15/30 minuti. Delle due l’una: se gli attentatori fossero veramente partiti tra le 8 e 15 e le 8 e 30 minuti del 2 agosto, con la bomba in auto e dovendo attraversare il nodo di Mestre, è praticamente impossibile che possano aver collocato l’ordigno alle 10.20 nella sala d’aspetto della stazione: sarebbero arrivati non prima delle 11 sul luogo prescelto; invece, se avessero avuto un appuntamento con qualcuno nei pressi di Bologna, per ritirare l’orrendo “pacco”, sarebbero comunque partiti prima delle 8, poiché, pur essendoci la possibilità di guidare velocemente senza il “pericolosissimo collo”, avrebbero comunque tenuto conto, nella programmazione del viaggio, dei possibili imprevisti del traffico vacanziero. Meglio ripetere: si tratta di logica elementare, di dati ricavabili su “internet” da chiunque e che, se ragionati senza pregiudizio, non possono che portare a conclusioni scontate. Poi, è chiaro: si può – 38 anni dopo la strage e quasi altrettanti dai primi processi e dai relativi interrogatori – mettere in discussione la testimonianza della madre di Flavia Sbrojavacca, sostenendo che potrebbe essersi sbagliata, che potrebbe aver preso il bimbo prima delle 8, ma fino a oggi è sempre stata ritenuta credibile; in alternativa, si può sostenere che i terroristi – sfidando le pattuglie della “Stradale” e senza un reale motivo che lo rendesse necessario (un attentato alla stazione di Bologna avrebbe avuto analoghi e tragici effetti a qualsiasi ora di quel giorno) – abbiano guidato a folle velocità da Villorba a Bologna, col rischio di saltare per aria (se la bomba era con loro) o per non mancare all’appuntamento col trasportatore dell’ordigno; oppure, si può sostenere che gli attentatori abbiano viaggiato in auto e la bomba in treno, ma, allora, anche in questo caso, se avessero avuto un appuntamento, si sarebbero messi in viaggio con margini temporali ben più ampi; infine, si può dire anche altro, anche tutto e il contrario di tutto, se la necessità è quella di formulare “a prescindere” un verdetto di condanna, ma non è – o non sarebbe – questo il compito dei tribunali. Google maps, in ogni caso, racconterebbe una verità diversa.

Commenti

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  • Giuseppe Tolu 11 Agosto 2018

    Fatto sta che li è saltato tutto in aria con le conseguenze che ne sono derivate, non verrà mai fuori la verità, o meglio, hanno fatto di tutto per depistare.