Il legale di Contrada: chiederemo i danni per i 10 anni di carcere ingiusto

4 Lug 2018 17:45 - di Paolo Lami

Arriva la richiesta di danni per il gravissimo errore giudiziario che ha tenuto in carcere per dieci anni l’ex-007 Bruno Contrada accusato dai magistrati di Palermo di concorso esterno in associazione mafiosa.

L’avvocato Stefano Giordano, legale del poliziotto che, nei giorni scorsi, aveva subito l’ennesima perquisizione nella sua abitazione voluta dal Procuratore generale Roberto Scarpinato nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie, avvenuto nel 1989, avverte di essere pronto a chiedere il risarcimento per la detenzione ingiusta subìta dal suo assistito: «agiremo per la riparazione per l’errore giudiziario subito da Bruno Contrada. Non abbiamo ancora quantificato il danno ma certo ammonta a svariati milioni di euro. E’ stata scontata interamente una pena che non doveva essere eseguita», ricorda l’avvocato Giordano.

L’errore giudiziario a cui fa riferimento Giordano è la condanna scontata dall’ex-agente del servizio segreto civile a dieci anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Un anno fa la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva scagionato l’ex-dirigente della Squadra Mobile.

«E’ un processo infinito per Bruno Contrada. Che non è neppure indagato – protesta l’avvocato Giordano – Siamo stati costretti a convocare una conferenza stampa a chiarimento delle ultime vicende che hanno riguardato indirettamente Bruno Contrada ma che lo hanno visto protagonista di una perquisizione».

Tra gli oggetti sequestrati durante la perquisizione – avvenuta alle 4 del mattino – ci sono tre album fotografici, in uno dei quali c’è l’ex-007 fotografato con Boris Giuliano, l’ex-dirigente della Mobile ucciso nel 1979 da Cosa nostra. Ma c’è anche un verbale di pubblica udienza e una lettera che l’ex-dirigente della Squadra Mobile aveva scritto, indirizzata al pm Nino Di Matteo.

Il legale di Contrada ha anche annunciato un nuovo ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo «per denunciare l’illegittimità, sul piano convenzionale, di una normativa come quella italiana, che consenta alla pubblica autorità di sottoporre indiscriminatamente ad atti invasivi, quali sequestri e perquisizioni, a soggetti che non sono né indagati né in violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo».

«Una persona di 87 anni ha il diritto di essere lasciato in pace – si infervora l’avvocato Giordano seduto accanto al suo assistito nel suo studio legale di Palermo – Bruno Contrada in queste tre incursioni che sono state effettuate nel corso di questo anno è stato sostanzialmente sottoposto ad indagini ma formalmente estraneo. Evidentemente – ipotizza – qualcuno non ha digerito la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di un anno fa che hanno scagionato Contrada dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa».

Dopo le dure parole del suo avvocato è stata la volta di Bruno Contrada. Che ha polemizzato con gli inquirenti che, in questi anni, lo hanno perseguito. E ha ricordato le numerose falsità perpetrate sulla sua vicenda giudiziaria.

«Come dicevano i latini “Turpe senex miles“, è ingiusto e inumano che un vecchio continui a combattere. Io ho combattuto per 26 anni dal ’92 ad oggi e continuo a guerreggiare. Io – ha ricordato l’ex-007 del Sisde – ho 40 anni di carriera alle spalle, solo delle menti malate e deformate da ideologie politiche possono accusarmi. Io ho servito per tutta la vita le istituzioni.

«Io – ha continuato Contrada – ho avuto a casa mia sempre una bandiera, il tricolore. Su questa bandiera ci sono solo questi tre colori. Quando, invece, alcuni anni fa ho visto il mio grande inquirente, requirente, inquisitore attualmente avvocato, Antonio Ingroia, l’ex-pm di Palermo che mi ha inquisito e ha sostenuto acerrimamente e tenacemente le accuse a mio carico nel processo, seduto su un palco con alle spalle una bandiera con la falce e il martello, ho capto che eravamo su sponde diverse. Era magistrato non avvocato. Io non ho mai permesso che nei miei uffici si pronunciasse la parola politica».

Contrada è entrato nel merito dell’omicidio D’Agostino spiegando di aver «saputo che esisteva un uomo che si chiamava Antonino Agostino solo dopo la sua morte. Il poliziotto non è mai stato alle mie dipendenze, non ho mai avuto modo di incontrarlo. Ho saputo dopo che fu un delitto. Fu ucciso poco dopo l’attentato all’Addaura a Falcone e dopo la famosa lettera del corvo».

L’ex-dirigente della squadra Mobile è ritornato sulla vicenda dell’ultima perquisizione subita, proprio nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio D’Agostino: «In casa ci siamo solo io, che ho 87 anni, e che sono invalido civile al 100 per cento, e mia moglie che ha la mia stessa età ed è gravemente ammalata con patologie al cuore e polmone. E’ inimmaginabile quello che ho dovuto fare l’altro giorno quando ho subito la perquisizione a casa e sono venuti cinque galantuomini, che si sono comportati in maniera corretta ed educata. Per non fare capire niente a mia moglie, perché le sarebbe venuta una crisi cardiaca, le ho detto che volevano vedere le fotografie della Squadra Mobile perché volevano fare un libro sulla Squadra mobile di allora».

Contrada ha anche parlato della sentenza sulla strage di via D’Amelio in cui fu ucciso Paolo Borsellino perché un vicequestore aggiunto della Questura di Palermo dopo la strage aveva detto a due poliziotti che Contrada si trovava sul luogo della strage. Per questo motivo venne anche rinviato a giudizio per falso: «Il giorno della strage di via D’Amelio, il 19 luglio del 1992, io ero in barca. E possono testimoniarlo altre dodici persone che erano con me, tra cui i mozzi della barca».

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

  • WALTER CARLETTI 5 Luglio 2018

    UN ONESTO SERVITORE DELLO STATO, MESSO IN CONDIZIONE DI NON DARE FASTIDIO A CHI DETIENE IL VERO POTERE E SI SERVE DI CRETINI POLITICIZZATI PER PERSEGUITARLO ANCORA, CERTAMENTE ALL’EPOCA IL DOTT. CONTRADA FACEVA UN LAVORO EGREGIO. GLI DOVREBBERO DARE UN RISARCIMENTO ED ANCHE UNA MEDAGLIA.

  • Pino1° 4 Luglio 2018

    Il caso Contrada è un’altro atto della compromessa magistratura inaggettivabile alla ‘Tortora’ !
    In situazioni di questo genere non c’è CSM od altro che tenga. Che la persecuzione attuata contro uno dei più quotati e valenti ( d’allora ) agenti anti crimine-mafia che era stato messo nel mirino dalle cosche che volevano far pagare a Contrada arresti eccellenti che altri…….. guarda-caso non facevano!
    Se fosse possibile scoperchiare (COPASIR) quella pentola sarebbero troppi a non dormire la notte,
    già erano tempi in cui sui muri delle strade compariva la scritta ‘no la mafia nello stato’. Gli Italiani hanno naso fino, dovendo capire dove sono i ‘maestri d’opera fine’ forse, dico forse, riescono anche a percepire quegli odori che invece di salire dal basso, sono fetori che scendono dall’alto!