Ilva, il “tavolone” di Di Maio è un flop. Il ministro: «Nessuno ha cambiato idea» (video)

30 Lug 2018 15:01 - di Sveva Ferri

Le proposte della Mittal «non sono ancora soddisfacenti» e l’opzione di «portare le carte in procura» è ancora aperta. Al termine del maga-incontro al ministero dello Sviluppo economico, dunque, il futuro dell’Ilva resta incerto. E le polemiche non si placano. «Ho chiesto a Mittal dei miglioramenti sul piano ambientale e occupazionale che non sono ancora soddisfacenti», ha detto Luigi di Maio, al termine dell’incontro, che apre una ulteriore fase di confronto: il ministro, infatti, ha annunciato di voler rendere pubblico l’Addendum dell’azienda, insieme al piano occupazionale, «cosicché tutto il mondo scientifico possa analizzarlo e leggerlo per valutarlo».

Di Maio è tornato quindi a puntare l’indice contro il governo precedente dicendo che «è chiaro che se ha sbagliato la gara, si prende una responsabilità senza precedenti, ma non me la prendo io, io mi prendo la responsabilità di gestire quello che viene dopo e mi auguro che tutto sia in regola: me lo auguro per il bene dello Stato, perché se non dovesse essere così porterò tutte le carte in Procura perché se ci sono rilievi e criticità, ci sono dei reati commessi». «Raccolte tutte le informazioni dal ministero dell’Ambiente – ha precisato – noi faremo subito, penso in questa settimana, una richiesta all’avvocatura dello Stato per capire cosa si può fare e cosa non si può fare».

Di Maio ha difeso la riunione alla quale erano state invitate 62 delegazioni tra sindacati e rappresentanti del territorio, per un totale di 180 persone, a ciascuna delle quali era stato assegnato un minuto a testa per interventi e domande tecniche. Una scelta che molti hanno letto come un tentativo di fare melina e che ha comportato più di un forfait alla riunione. «C’erano diverse delegazioni, poco meno di 60 perché qualcuno non è venuto. Rispetto la decisione, ma non capisco il perché», ha commentato Di Maio, sostenendo che «si passa da un metodo in cui il mio predecessore firmava con Arcelor senza dirlo neanche ai sindacati a un momento in cui i cittadini, i comitati, i sindaci, si possono confrontare direttamente col piano d’azienda che chiede di entrare nello stabilimento Ilva». «Non capisco come si possa polemizzare su una cosa del genere», ha sottolineato ancora il ministro, senza però riuscire a placare le critiche.

«Noi la riteniamo una convocazione pletorica, dove vengono coinvolte tutta una serie di “stakeholder” che in realtà non lo sono. E invece coloro che avrebbero dovuto esserci poiché portatori di un interesse legittimo quali, ad esempio, il ministero dell’Ambiente e i funzionari del governo che hanno elaborato le controproposte per Mittal, non ci sono», ha commentato il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, che insieme al sindaco Rinaldo Melucci, ad altri sindaci del territorio, al presidente della Provincia Martino Tamburrano e a rappresentanti locali di sindacati ha scelto di non participare al tavolo istituzionale. «Crediamo – ha aggiunto Cesareo – che sia arrivato il momento delle decisioni, per cui abbiamo apprezzato il lavoro del ministro nel leggersi molto rapidamente queste 23mila pagine di piano precedente e che si sia messo a lavorare alacremente sul dossier e capisco che responsabilmente aveva la necessità di studiarlo. Capisco meno adesso che si continui a girare intorno all’argomento senza assumere una decisione. Le nostre imprese, i nostri lavoratori, la nostra comunità hanno bisogno di capire se il governo ritiene che questa Ilva debba continuare a produrre, restituendola al mercato e ambientalizzandola o quali sono gli eventuali piani di diversificazione che ha previsto».

Dalle parole dello stesso Di Maio, che ha ammesso come dopo il tavolo «nessuno ha cambiato idea», è emersa una certa volontà di prendere ulteriore tempo: «Non aderisco a quella idea politica per cui su Ilva bisogna fare di tutto per liberarsene. Perché, siccome bisogna liberarsene, gliela regaliamo al primo acquirente che passa senza poi fregarcene del destino dei lavoratori, dell’azienda e dei cittadini di Taranto, dell’intera Puglia. Io non aderisco a questa idea politica, quindi chi ha fretta di regalare quello stabilimento al primo che passa faccia pure, ma non con questo governo». «Io – ha aggiunto – voglio vederci chiaro fino alla fine. Abbiamo fatto delle ricognizioni sulle garanzie del vecchio governo per assorbire gli esuberi e alcune sono da fantascienza; questo per dire – ha concluso Di Maio – che partiamo da una situazione per cui gli altri ci hanno lasciato tutto bloccato per il loro modo di gestire le crisi aziendali».

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