Altolà del ministro della Difesa, Trenta: non compreremo altri F-35

6 Lug 2018 17:17 - di Paolo Lami

La sigla ufficiale è F-35. Ma c’è già chi lo ha soprannominato “Fiasco-35”. E forse è per questo ma, soprattutto, per gli altissimi costi, che l’Italia rinuncia a comprare altri caccia multiruolo monoposto di quinta generazione della Lockheed Martin oltre ai 90 già previsti.

«Sicuramente non compreremo nessun altro F-35 – avverte il nuovo ministro della Difesa, Elisabetta Trenta – Stiamo analizzando tutte le implicazioni dei tagli. Intorno agli F-35 si crea un indotto tecnologico, di ricerca e occupazionale, che noi taglieremmo. Quindi bisogna valutare bene il costo di tagliare o mantenere. Potremmo scoprire, dall’analisi che stiamo facendo, che tagliare costa più che mantenere. Ma sicuramente non ne compreremo di nuovi».

“In tutte le amministrazioni ci sono possibilità di ottimizzare le risorse e lo faremo anche noi – chiarisce la Trenta – Ci sono delle aree che possono essere gestite meglio. La Difesa sta facendo dei grandi passi avanti, quindi sono fiduciosa. L’importante è capire perché stiamo facendo una spesa e quale miglioramento darà al cittadino».

A giudizio di Elisabetta Trenta «sarebbe bene riuscire, a livello politico, ad allungare il periodo all’interno del quale noi dovremmo comprare questi F-35 perché così avremmo un po’ più di budget a disposizione da investire in progetti europei. Le spese militari hanno una ricaduta anche nel settore civile: Internet nacque come progetto militare».

Restano, tuttavia, le pesanti critiche sul mezzo e sui costi del programma. C’è chi fa notare che è già una vittoria che, finora, non sia caduto mai un F-35, una circostanza che parrebbe ovia ma ovvia non è. E starebbe a dimostrare che l’aereo è, dunque, più che affidabile rispetto ai predecessori. Da qui, però, a continuare a sborsare una montagna di soldi per un aereo i cui costi sono aumentati in maniera esponenziale ce ne passa.
Ma c’è anche chi – e sono in molti – ha stilato una specie di cahier de doleance sulle gravi mancanze dell’F-35, aldilà dei costi esorbitanti che sono lievitati in maniera stupefacente e che sono anche finiti sotto la lente di ingrandimento della Corte dei Conti i cui giudici hanno dovuto ammettere che, a questo punto, l’Italia è in mezzo al guado, invischiata fino alle ginocchia in un’operazione industriale e finanziaria che ci sta strozzando.

Gli unici due “incidenti” di cui si è a conoscenza hanno riguardato una turbina fratturata e un principio di incendio che ha portato a un blocco temporaneo dei voli degli F-35 negli Stati Uniti. Nulla in confronto a ciò che è accaduto ad altri velivoli militari nella loro vita operativa.

Ma, secondo alcuni, i problemi sono, in realtà, parecchi. Il Pentagono ha messo sotto accusa gli strumenti elettronici del jet, il display nel casco di volo, il radar, il dispositivo di carica delle batterie.
Le critiche più feroci riguardano la capacità di combattimento e la scarsa autonomia di volo. Cinque anni fa un gruppo di piloti Usa ha concentrato le proprie critiche su otto aree di grave rischio: la visibilità, l’interfaccia tra gli apparati di bordo e il pilota, il sistema radar, l’apparato di proiezione dei dati nel casco di volo, l’eventualità di esplosione in caso d’impatto con fulmini, per via delle pareti troppo sottili dei serbatoi, e altri aspetti non proprio confortanti.

Ma il vero problema resta l’operazione industriale in sé: la Lockheed Martin è stata duramente criticata per il suo approccio aggressivo perfino in patria nel 2013 quando un generale delle Forze armate aeree statunitensi ha detto chiaro e tondo che l’azienda vuole «spremere ogni centesimo» dal governo degli Stati Uniti per la commessa multimilionaria.

L’Italia si è trovata costretta a proseguire nel programma – che accusa un ritardo di cinque anni – nonostante ì costi iniziali siano schizzati verso l’alto:  bisogna comunque andare avanti, pena un’ulteriore gravosa perdita economica, ja cancellato ogni speranza la Corte dei Conti italiana nella sua relazione Relazione speciale sulla “Partecipazione italiana al Programma Joint Strike Fighter F35 Lightning II“.

I costi unitari del programma, sottolineava proprio un anno fa la Corte dei Conti, sono praticamente raddoppiati, e solo negli ultimi anni si sono manifestati segnali di miglioramento, in termini di maggiore efficienza produttiva e della catena di approvvigionamento da parte dei sub-fornitori.
Nel frattempo, ricordavano i giudici amministrativi, gli stessi Stati Uniti e alcuni dei Paesi partner sono stati indotti a ripensare la propria partecipazione al programma nel senso di una riduzione o di un rallentamento del profilo di acquisizione.

Per l’Italia, ricordarono i magistrati contabili, sono intervenute due decisioni: la prima (nel 2012) ha ridotto da 131 a 90 il numero di velivoli da acquisire, la seconda (nel 2016) ha impegnato il governo, per aderire alle indicazioni parlamentari, a dimezzare il budget dell’F-35, originariamente previsto in 18,3 miliardi di dollari (a condizioni economiche 2008).

La prima decisione ha avuto un costo per la base industriale: la perdita, in quota percentuale, delle opportunità di costruire i cassoni alari a Cameri, che presupponeva il mantenimento del volume di acquisti oltre il numero di 100 velivoli. La seconda ha per ora prodotto solo un rallentamento del profilo di acquisizione fino al 2021, con un risparmio temporaneo pari a 1,2 miliardi di euro nel quinquennio 2015-2019, ma senza effetti di risparmio nel lungo periodo.
Insomma, c’è poco da stare allegri. Siamo rimasti con il cerino acceso in mano.

 

 

Commenti

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  • Pino1° 7 Luglio 2018

    Visto, politicanti cattosinistronzi che sputate da decenni sui militari, che rappresentano l’unica società civile che esista ancora! Un ministro proveniente da forza armata di grado non altissimo ed intatta dalla corruttela per la corsa al massimo grado prima della pensione, competente e dai comportamenti civili ed onesti?
    Solo chi ‘è dentro’ e sente i colleghi -e non i promoter tangentari americani sa- se stanno rifilandoti un bidone o un gioiello, anche con gli amx sarebbe stato lo stesso! Chi è stato mandato a trattare l’acquisto di aerei pensati per gli usa su teatri operativi assolutamente marginali per un paese che ha in costituzione il rifiuto della guerra, che senso ha l’ acquisto di un aereo di combattimento tipicamente d’attacco? Chi ha sottoscritto contratti capestro che non tenevano in considerazione il plafond massimo d’impegno economico? Chi negli alti gradi ministeriali non ha tenuto in considerazione la crescita in europa dei programmi europei in cui possiamo costruire quote importanti delle macchine come è stato con il Typoon e non ha consigliato il sistema politico? Abbiamo i settori di ricerca e progettazione fra i migliori in circolazione e dovremmo produrre noi e vendere agli altri non comprare e basta mentre il consorzio franco tedesco ci ha espulso, per deprimere gli implementi tecnologici !! Stramaledettissimi Merkel Macron e politici da cancellare e ministeri da rivoltare come un calzino!