Trentotto anni fa la strage di Ustica, l’indicibile verità che porta alla Nato
Trentott’anni fa, il 27 giugno del 1980, la strage di Ustica, uno dei misteri più inquietanti della storia recente italiana, una delle pagine tristi che a tanti anni di distanza deve essere ancora scritta. O, per meglio dire, scritta ufficialmente, perché in realtà, nel corso degli anni, è emersa una ipotesi da quasi tutti, ormai, ritenuta attendibile: il DC-9 dell’Itavia, partito da Bologna con 81 persone a bordo e diretto a Palermo, sarebbe rimasto coinvolto in uno scontro aereo tra Jet della Nato e Jet libici. A colpire l’aereo italiano sarebbe stato un missile sparato per errore da un aereo alleato, o americano o francese.
A suffragare questa (terribile e indicibile) ipotesi è stato il ritrovamento nella Sila, qualche tempo dopo la strage, dei resti di un Jet libico. Lo schianto al suolo del velivolo fu, all’epoca, ufficialmente datato 18 luglio 1980, ma diversi indizi hanno poi indotto a ritenere che il fatto sarebbe avvenuto proprio il giorno stesso della sparizione del Dc-9 sui cieli di Ustica. A suffragare ulteriormente i sospetti c’è stata poi la sparizione di tracciati radar e di altre prove. Nel 1999, l’inchiesta del giudice Rosario Priore, pur se priva dell’indicazione di responsabili, si concluse escludendo, tra le possibili cause della scomparsa dell’aereo Itavia, sia il cedimento strutturale sia l’esplosione di una bomba all’interno del velivolo sia la collisione con un altro aereo. Unica logica conclusione: il Dc-9 cadde perché abbattuto da un missile.
L’Italia non ha ancora rinunciato ad accertare l’indicibile verità. Una clamorosa iniziativa in direzione della “pista” Nato è quella che sta per essere intrapresa, secondo quanto riferisce l’Huffington Post, dagli inquirenti della Capitale: «I magistrati della Procura della Repubblica di Roma che indagano sulla strage di Ustica sono pronti a partire per gli Stati Uniti, dove interrogheranno Brian Sandlin, ex membro dell’equipaggio della USS Saratoga (CV 60), che la sera del 27 giugno 1980 era in servizio sul ponte della portaerei ed afferma di aver visto due F-4J Phantom della squadriglia “Fighting 103” rientrare al termine di una missione di combattimento contro due Mig libici senza più l’armamento sotto le ali». L’ex marinaio ha già raccontato la sua verità in un intervista mandata in onda nell’ottobre scorso da Atlantide su La7.
Sarebbe importante, per il nostro Paese, accertare in modo inequivocabile la verità pur a tanto tempo di distanza. Non solo per un senso di giustizia nei confronti delle vittime e dei loro familiari, ma anche per stabilire il ruolo geopolitico dell’Italia (e i tentativi di comprimere la sua sovranità) nell’area mediterranea. Nel 1980 c’era ancora la guerra fredda e la Libia era in cima alla lista di quelli che sarebbero poi stati chiamati successivamente gli “Stato canaglia”. È una circostanza che può spiegare (anche se mai giustificare) la reticenza. Oggi, che la guerra fredda non c’è più, non devono esserci più pagine buie e tutti gli omissis devono essere desecretati. Se c’è ancora chi vuole mantenere il segreto, vuol dire che i tentativi per comprimere la sovranità dell’Italia in un’era vitale sono ancora forti. Ma oggi, come (se non più) di ieri, la conquista della verità è la premessa necessaria per la (ri)conquista della libertà.
Per un’analisi dettagliata della testimonianza di Sandlin v.https://claudiopizziit.wordpress.com/2018/07/28/aa-vv-il-caso-sandlin-e-linchiesta-su-ustica/
E’ infatti l’unica possibilità: era ed è abituale sfruttare i jet-liner volando pochi metri al di sotto, per confondere la propria radar cross section con quella di un aereo molto più grande.
All’epoca venne ipotizzato che un jet-executive che trasportava al-Ghaddafi o Arafat di ritorno dall’Europa Orientale lo abbia fatto, e un caccia USA, francese, o israeliano, nel tentativo di abbattere il jet-executive arabo, abbia invece colpito il jet-liner italiano.
In ogni caso, già all’epoca le tracce radar mostravano la tipica traiettoria di un intercettore che si predisponeva ad attaccare un obiettivo la cui traiettoria coincideva con quella dell’aereo italiano.