Le molteplici ricette economiche? Ne avessero mai azzeccata una…

6 Giu 2018 15:31 - di Giancarlo Cremonini

Riceviamo da Giancarlo Cremonini e volentieri pubblichiamo

Non passa serata senza che in qualcuno degli innumerevoli talk show o programmi di approfondimento che popolano i palinsesti televisivi, specie quelli estivi, non vi sia qualche ministro, qualche politico, qualche esperto o qualche invitato illustre che si lanci in audaci proposte e ricette economiche a suo dire utili a sconfiggere la disoccupazione, ridurre il deficit pubblico, aumentare il Prodotto interno lordo o rilanciare le nostre imprese sui mercati internazionali. Al riguardo sarà bene precisare, a scanso di equivoci o false e mal riposte illusioni, che le cosiddette Scienze economiche non sono delle vere e proprie scienze, come lo sono la fisica, la chimica, la matematica o l’idraulica, ma delle pseudoscienze che in nessun caso possono mai dare delle certezze assolute o dei risultati replicabili e ripetibili. Ciò è dimostrato, in modo certo e inequivocabile, dal fatto che, in due secoli, si sono succedute innumerevoli teorie e scuole di pensiero economiche molto diverse e spesso in netta contraddizione e contrasto tra loro. Abbiamo avuto il mercantilismo, poi il liberismo selvaggio anche detto laissez-faire, poi il marxismo, poi il keynesianesimo, il monetarismo e tante altre scuole meno conosciute. Quindi, quando si parla di economia, occorre sempre tenere a mente e mai dimenticare che di teorie si tratta e non di verità assolute. Purtroppo negli ultimi anni le teorie liberiste, specie quelle di scuola tedesca legate al pareggio di bilancio al controllo dell’inflazione e alla austerity come mezzo di sviluppo economico stanno assumendo la valenza di un dogma. E così in televisione e sui giornali alcune cosiddette verità vengono spacciate per certezze pur non essendolo, forse nella speranza che ripetendole un numero infinito di volte alla fine il popolo si convinca che siano esatte.

Ma facciamo qualche esempio di “luoghi comuni economici”che vanno oggi per la maggiore. Il primo è che, diminuendo le tasse alle imprese, queste investiranno di più. Ebbene non vi è nessuna certezza che ciò realmente avvenga. Può darsi, infatti, che l’imprenditore si tenga lui i soldi senza investirli o che ci si comperi una barca o un’automobile di lusso magari prodotte all’estero, oppure può darsi che l’imprenditore investa ma acquistando macchinari e attrezzature non prodotte in Italia con modestissime ricadute sul nostro Pil oppure può darsi che l’imprenditore decida di usare quei soldi in più per investire in Borsa o acquistare titoli di stato. Quindi proporre un automatismo certo fra detassazione e aumento degli investimenti è un azzardo quanto mai pericoloso in quanto non vi è nessuna certezza che ciò avvenga e anche ove avvenisse potrebbe essere minima la quantità di risorse effettivamente reinvestita nelle imprese. Stesso discorso vale per la detassazione delle persone fisiche. Si dice sempre: diamo più soldi ai cittadini e questi spenderanno di più in beni e servizi dando fiato alla ripresa economica. Va detto chiaramente che, anche in questo caso, non vi è nessuna certezza che ciò avvenga né possiamo sapere in che misura avverrà. Il cittadino, pauroso per il futuro, potrebbe mettere quei soldi sotto al materasso senza spendere nulla oppure potrebbe usare quei soldi per pagare debiti e bollette. Oppure potrebbe si destinare quelle somme ai consumi ma acquistando un bel computer cinese, un bello smartphone coreano o una bella automobile giapponese, con nessuna ricaduta positiva per la nostra economia ma, anzi, con un peggioramento della bilancia dei pagamenti. Ed allora quale è il metodo migliore di spendere dei soldi per stimolare l’economia nazionale? Premesso che il metodo ottimo e infallibile non esiste perché in economia le variabili sono infinite e imprevedibili, possiamo però dire che lo Stato ben farebbe a spendere eventuali somme a sua disposizione per finanziare progetti medio piccoli a livello locale per la manutenzione delle scuole, degli edifici pubblici, delle strade e del territorio, per progetti di difesa del suolo e dell’ambiente e di riqualificazione urbana. I vantaggi sarebbero molti e tangibili. Innanzitutto essendo progetti modesti dal punto di vista economico sicuramente non attirerebbero l’interesse di imprese straniere e verrebbero, quindi, aggiudicati a imprese italiane. Essendo poi progetti a livello locale darebbero lavoro al personale che risiede nei vari territori con positive ricadute sulla occupazione e sui consumi e, infine, tali progetti migliorerebbero la qualità della vita dei cittadini e delle comunità locali. Sarebbe, in piccolo, quello che Roosevelt fece durante la grande depressione post 1929 con il New Deal che, dando lavoro a milioni di disoccupati, contribuì a ridare slancio all’economia americana. Ovviamente tali appalti dovrebbero essere severamente monitorati per evitare corruzione e sprechi prevedendo, magari, pene ancora più severe per chi delinque. Noi oggi non abbiamo bisogno di opere faraoniche o titaniche ma di tanti piccoli e medi cantieri che diano il via, finalmente, alla ricostruzione della nostra patria dopo decenni di abbandono restituendo dignità e fiducia nel futuro ai tanti lavoratori che negli anni passati le hanno perse.

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  • GIAN GUIDO BARBANTI 6 Giugno 2018

    L’economia Usa Ripartì con la guerra.Il new deal servì in modo limitato a far ripartire l’economia