Il sangue dei vinti tedeschi: un reportage del 1946 rivela realtà mai raccontate
Non c’è settimana che sui maggiori organi di stampa e nelle librerie non compaiano articoli, ricostruzioni o saggi riguardanti qualche episodio della Seconda guerra mondiale in cui l’esercito tedesco, i nazisti, vengono indicati come i protagonisti di orrori e atrocità. Quella che è stata opportunamente definita da alcuni storici come la seconda guerra civile europea fu una catastrofe immensa. Vi morirono oltre 54 milioni di persone, e per la prima volta il numero dei civili morti, 30 milioni, superò quello dei combattenti caduti. Ci fu una enorme distruzione del patrimonio abitativo e di beni culturali. Milioni di persone soffrirono disagi enormi – ferite, fame, perdita dell’abitazione – e altrettante al termine del conflitto dovettero abbandonare per sempre i loro luoghi di origine. Gli orrori e le atrocità dei tedeschi sono innegabili ma le violenze non furono a senso unico e furono commesse da tutte le parti in conflitto.
Fu proprio la Germania, in quanto principale nazione sconfitta, a pagare il prezzo più alto della guerra, intesa in tutte le declinazioni possibili. Qualche cifra: 7milioni 418mila morti, di cui 2milioni 100mila civili, 40 città distrutte per più del 50%, 3.379 appartamenti distrutti, 2milioni di feriti, 18 milioni di soldati prigionieri, 10 milioni di senzatetto e 10 milioni di tedeschi costretti al termine del conflitto a lasciare per sempre i luoghi di origine nei territori dell’Est Europa (Prussia Orientale, Pomerania Orientale, Posnania, Slesia). A queste cifre vanno aggiunte le deportazioni e le vessazioni subite da militari e civili avvenute nella zona di occupazione sovietica. È stato calcolato che il numero delle donne violentate dai soldati russi non sarebbe infezione ai 2milioni. Per completezza dei dati occorre infine dire che la Russia, per la sua estensione, è la sola nazione ad aver subito più vittime della Germania, oltre 20 milioni.
A ricordarci le sofferenze dei tedeschi vinti contribuisce oggi la prima traduzione italiana di Autunno tedesco, un reportage nella Germania distrutta dalla guerra, redatto dallo scrittore svedese Stig Dagerman, edito da Iperborea (pag.159, €16). Tra l’ottobre e il dicembre 1946, Dagerman compì un viaggio in quel che restava delle città tedesche, per conto del quotidiano Expressen di Stoccolma. A differenza degli altri cronisti che guardavano senza vedere, il ventitreenne svedese, seppe cogliere in tutta la sua drammaticità la condizione della popolazione. Nelle pagine di Autunno tedesco troviamo i bambini ammalati nelle cantine allagate della Ruhr, di Düsseldorf o di Amburgo, le uniche rimaste in piedi dopo i bombardamenti terroristici degli Alleati. Dove l’acqua fredda arriva alle caviglie mentre «le patate nella pentola aspettano, col tempo, di diventare commestibili». Troviamo la descrizione delle Cattedrali dai campanili amputati, degli edifici distrutti, dei ponti ridotti a monconi, dei cimiteri bombardati. «Viaggiando in treno ad Amburgo – racconta Dagerman – si ha un panorama ininterrotto su quel che somiglia ad un’enorme discarica di frontoni in pezzi, singoli muri rimasti in piedi, con finestre senza vetri (…) indefinibili resti di case con ampie e nere tracce di incendio».
Leggiamo dei treni merci colmi dei profughi delle regioni dell’Est, ormai ex tedesche, divenute nel frattempo Polonia o Russia, che restano fermi per giorni alle stazioni in attesa di una difficile sistemazione. C’è questo e molto altro in Autunno tedesco. Come scrive Fulvio Ferrari nella postfazione al libro, Stig Dagerman è uno dei pochi ai quali «l’idea della colpa collettiva appare una crudele mistificazione tesa a giustificare lo stato delle cose».
Voglio qui ricordare i 5350 morti tedeschi per difendere la Sicilia dagli invasori anglo-americani più degli italiani, 5275, mentre i caduti anglo-americani furono circa 7.000.