Bologna: i pm smentiscono le bufale dei media. Fiore chiamato a testimoniare

28 Giu 2018 17:26 - di Massimiliano Mazzanti

Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,

nell’ambito di un processo che risente molto – per non dire troppo – delle letture che del dibattimento in corso danno la stampa e i media in genere, quello che si è udito stamane alla terza udienza di esame testimoniale di Valerio Fioravanti nel processo Cavallini è, a dir poco, enorme. Ieri, infatti, Repubblica e Fatto Quotidiano, in tandem perfetto, avevano rilanciato la notizia, secondo la quale la Procura generale di Bologna – che ha avocato a sé le indagini sul così detto “processo ai mandanti della strage di Bologna” -, nell’ambito delle sue investigazioni, avrebbe trovato le “prove” di un flusso di denaro che, in Svizzera, collegherebbe la Cia – ché quando si parla di “ambienti americani” quella s’intende – a Licio Gelli e Gilberto Cavallini. In altre parole, per le solerti “penne” della “dietrologia in servizio permanente effettivo”, i servizi americani avrebbero fatto arrivare al capo della P2 soldi, affinché quest’ultimo mettesse in grado Cavallini di portare avanti operazioni per loro conto. Ovviamente, non c’è bisogno di dirlo, operazioni per contrastare l’evoluzione democratica del Paese, cioè l’approdo del Pci al governo. Ora – come è sia detto -, la suggestiva tesi non semplicemente non regge sul piano storico, prim’ancora che giudiziario: il Pci al governo c’era già stato, prima che la fantomatica coppia Gelli-Cavallini si mettesse a operare coi soldi di Washington e, precisamente, dal 13 marzo 1978 al 21 marzo dell’anno successivo. Dopo la crisi, poi, a sbarrare un ulteriore evoluzione dell’intesa Dc-Pci non fu Gelli o chissà quale suo occulto complice, ma Carlo Donat Cattin, con la ben nota “Politica del preambolo”.

Quel che più conta, però, è che i pubblici ministeri, richiesti dalla difesa di Cavallini di precisare meglio l’orizzonte di questa nuova indagine a carico del loro cliente, ha categoricamente smentito di aver ricevuto o di essere stati resi partecipi di un’informativa contenente notizie del genere. A precisa richiesta della stampa, la pm Antonella Scandellari ha ribadito di non aver ricevuto nulla del genere dalla Procura generale e, nel farlo, ha usato un tono e un’espressione che rende lecito anche il pensare che proprio esista una indagine in tal senso da parte della Procura generale. Quel che è certo, è che questo “materiale investigativo definito molto interessante” – come scrive Repubblica – nelle scrivanie dei magistrati che indagano e stanno processando Cavallini non si è mai “materializzato”. Insomma, la notizia, almeno al 50%, è stata dichiarata semplicemente falsa. Cavallini, contattato dai suoi legali, pare non escludere un’azione legale per diffamazione. D’altro canto – anche questo lo si è già detto -, che Cavallini sia, per le parti civili, solo uno “strumento” per ritornare a Gelli e alle teorie di una strage compiuta dai Nar su ordine di ambienti Nato, ormai è cosa nota.

Ed è ancora in questo filone – alquanto assurdo, in verità – che s’inquadrerà l’audizione, decisa sempre oggi dopo un iniziale diniego, di Roberto Fiore e Fabrizio Zani, i cui nomi sono ricorsi spessissimo nelle ricostruzioni e negli esami testimoniali sempre delle parti civili. Intanto, anche Fioravanti esce di scena, avendo terminato la sua deposizione, al termine della quale ha ricordato che – tra gli altri magistrati che avrebbero fatto pressioni su di lui affinché, magari per alleggerire la sua personale posizione giudiziaria, parlasse e facesse i nomi di qualcuno a cui addossare la strage – ci fu anche Claudio Nunziata, il primo pm che indagò sul 2 agosto 1980.

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