Morte di Giuseppe Uva, chieste condanne per polizia e carabinieri
La Procura generale di Milano ha chiesto la condanna a 13 anni di carcere per i due carabinieri Paolo Righetto e Stefano Dal Bosco, imputati per la morte di Giuseppe Uva, deceduto nel giugno 2008 a Varese. Richiesta di condanna a dieci anni e sei mesi anche per sei poliziotti: Gioacchino Rubino, Luigi Empirio, Pierfrancesco Colucci, Francesco Barone Focarelli, Bruno Belisario e Vito Capuano. Tutti devono rispondere di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato dalla qualifica di pubblico ufficiale. Nella sua requisitoria – dopo che la corte ha deciso di non riaprire il dibattimento – il pg Massimo Gaballo rimarca che non è stato alcol, né le “lievissime lesioni” trovate sul corpo della vittima a causare il decesso, ma “l’illegittima costrizione” in caserma, lo “stress” causato dalla “condotta illecita” dei militari. All’interno di una patologia cardiaca precedente ciò determina in Uva un arresto cardiaco, provocato da “una tempesta emotiva” legata “all’azione sinergica di fattori come intossicazione etilica, lesioni traumatiche e misure di contenzione fisica”, secondo la perizia disposta per stabilire le cause della morte. La patologia sconosciuta da carabinieri e poliziotti “non interrompe il nesso causale”, determinando a dire dell’accusa la responsabilità degli imputati, assolti in primo grado dal tribunale di Varese. Una responsabilità che, per il rappresentante dell’accusa, è più grave per i militari – i primi a intervenire e a portarlo in caserma – ma che non assolve i sei agenti che avevano “l’obbligo di verificare a che titolo veniva limitata la libertà personale di Uva”. Nella ricostruzione del pg, nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2008, Uva e l’amico Alberto Bigioggero, entrambi ubriachi, vengono fermati dai carabinieri perché sorpresi a spostare delle transenne per chiudere al traffico una strada e vengono portati in caserma, sebbene già noti ai militari. Per il rappresentante dell’accusa quel controllo non è casuale. Sia Uva che l’amico, la cui testimonianza non è stata ritenuta attendibile in primo grado, riferiscono le stesse stesse parole ‘Proprio te stavamo cercando, questa non te la faccio passare'”, frase pronunciata dai carabinieri e che nasconderebbe un preciso movente: “La presunta storia di Uva con la moglie di un carabiniere, lui si vantava di questa relazione meritevole di una lezione nell’ottica di chi non si fanno scrupoli di piegare la propria funzioni istituzionali a interessi personali”, dice il pg Gaballo.