Calcagni a “Porta a porta”: «Io sono il colonnello, in lotta per la vita» (video)
Un combattente. Un guerriero in bicicletta che sfida ogni giorno una malattia devastante che lo consuma da oltre 10 anni. Mascelle scolpite, occhi che parlano di sofferenza e di riscatto, un sorriso pronto a spalancarsi alla vita. Carlo Calcagni, colonnello al Ruolo d’Onore dell’Esercito italiano, campione di ciclismo, paracadutista, pilota istruttore di elicotteri, reduce dalla presentazione a Trevignano Romano del docufilm sulla sua vita (realizzato dal regista Michelangelo Gratton di Ability Channel), ha bucato il video, ospite di Porta a porta giovedì scorso. Una storia incredibile, la sua, sconosciuta al grande pubblico fino alla partecipazione al programma di Bruno Vespa con cui è entrato nelle case (e nelle vene) degli italiani.
Calcagni a Porta a porta: “In lotta per la vita”
“Io sono il colonnello, in lotta per la vita”, perché Calcagni, da quel maledetto 2002 quando compaiono i primi sintomi della sensibilità chimica multipla, una patologia invalidante e irreversibile, dovuta alla contaminazione da metalli peasanti contratta durante una missione di peacekeeping nei Balcani nel ’96, ha scelto di non arrendersi. Mai. Di sfidare la malattia e annusare la vita con il suo inseparabile “triciclo volante” con il quale ha conquistato medaglie e podi mondiali: 2 ori agli Invictus Games di Orlando in Florida nel 2016 e 2 ori in Coppa del mondo di paraciclismo come atleta del Gruppo sportivo paralimpico della Difesa. Non arrendersi. Un imperativo categorico onorato con una volontà di ferro fatta di muscoli, sudore cuore e testa. «Quando la vita ti mette davanti una strada che non ti saresti mai aspettato di dover percorrere, una strada fatta di dolore, rinunce e ostacoli, non hai che da scegliere: arrenderti e cedere all’attesa silenziosa di una fine ineluttabile, oppure continuare a credere e correre incontro ai tuoi sogni per renderli capaci di superare le difficoltà. E se scegli questa via non puoi nasconderti, ma hai il dovere di urlare a chi non spera più, a quanti credono che non sia più possibile, che inseguire un obiettivo nonostante la fatica, il timore, le incertezze, nonostante i detrattori è ciò che ti permette di andare avanti, nonostante tutto e tutti».
La vita nel mirino, schiena dritta e pedalare
La vita nel mirino, schiena dritta e pedalare. Macinare chilometri tutti i giorni, per allentare la morsa della malattia che risale al ’96 quando, come pilota elicotterista, il colonnello Calcagni prestava soccorso in Bosnia ai corpi dilaniati dalle bombe e recuperava le salme di caduti senza nessuna precauzione, a mani nude perché quando è in gioco la vita umana non c’è tempo… La malattia lo morde ai fianchi ma non lo piega. Da soldato lotta come un leone, sottoponendosi a estenuanti terapie quotidiane: diciotto ore al giorno di ossigenoterapia, trecento compresse, due ore di camera iperbarica, quattro ore di flebo, sette iniezioni, ventilatore polmonare. E allenamenti pazzeschi per contrastare la degenerazione cellulare, attenuare i dolori, non perdere il tono muscolare continuare a vivere. Vivere, in faccia alla malattia che lo stesso colonnello racconta nel film, proposto negli spezzoni più significativi a Porta a porta. «Diventi sensibile a tutto ciò che è chimico, anche agli odori. Sebbene per i problemi neurologici non sento ne odori, né sapori, non sento caldo e freddo a livello cutaneo, però ne sento fortemente le reazioni perché si hanno crisi respiratorie, inizi a vomitare, puoi avere uno shock anafilattico, infatti devo andare sempre in giro con la siringa di adrenalina; non puoi stare a contatto con altre persone solo perché si sono lavate con un sapone normale che contiene odori o profumi. È qualcosa di veramente terrificante».
Con il vento, in bici, ritrova la vita
La sua vita è tutta nel triciclo che ha collegato, con un aggancio, alla bici del figlio con il quale può scorrazzare lungo la litoranea salentina. «Ho fatto il mio dovere di uomo, padre, cittadino italiano e di soldato. E oggi il migliore modo per dimostrare che il sottoscritto vale è quello di dimostrare le mie capacità attraverso lo sport». Adesso, però, la sfida è cancellare la vergognosa squalificazione per quattro anni decisa dalla Procura antidoping. Perché? Perché alcuni medicinali indispensabili al colonnello per vivere non sono stati considerati salvavita. Assurdo, pazzesco. Quattro anni? Da non credere. Una sentenza che grida vendetta. «Quest’anno abbiamo il mondiale di ciclismo in Italia ad agosto, giochiamo in casa. Spero di poter rientrare in gara e partecipare», dice il colonnello-coraggio, come è stato ribattezzato da Vespa. Proiettato per la prima volta lo scorso 13 aprile al cinema Palma di Trevignano Romano, una manciata di chilometri da Roma, il film realizzato dal regista Gratton è una testimonianza da pelle d’oca: le parole del padre, i racconti della moglie Chiara, le immagini dei suoi figli, Francesca e Andrea, gli interni di casa, le zoomate sugli scaffali del salone straripanti medicine, flebo, siringhe, aghi. E il racconto di Calcagni, autentico, sofferto ma solare. Un esempio di volontà e di amore. Sempre e comunque servitore dello Stato: «Perché lo Stato siamo noi cittadini. L’uniforme è per me la patria e racchiude tutto ciò che anch’io rappresento: l’onore, la dignità, l’umiltà, la determinazione, il carattere, la disponibilità verso gli altri, l’amore verso il prossimo, il sacrificio e al tempo stesso la forza, il coraggio e la speranza».
Lei è un UOMO santo e non un santo uomo, chi vuol credere nell’umano, basta aprire occhi e cuore, la Sua forza di volontà, vorrei che andasse ai responsabili di quei veleni che sapevano di esistere e che hanno taciuto. Questo è stato ed è vergognoso. Non mi testa che esserGli vicino augurandoGli ogni bene possibile e se permette per un attimo, un abbraccio da soldato a soldato. AUGURI.