Processo di Bologna, si passa dall’interrogatorio …all’interrogazione
da Massimiliano Mazzanti riceviamo e volentieri pubblichiamo
Caro Secolo,
dall’interrogatorio, nelle aule del tribunale di Bologna, si è passati all’interrogazione. Non si tratta di una facile battuta, ma della presa d’atto d’un’evoluzione interessante del procedimento penale – si parla del 2 agosto, del processo a Gilberto Cavallini -, in cui il primo testimone – in senso cronologico, ma anche d’importanza -, il vicecapo della Digos di Bologna, Antonio Marrotta, al quale erano state delegate prioritariamente le indagini sull’imputato, risponde dalle 9 alle 15.30 non già su vere attività investigative da lui svolte o coordinate, bensì sulla rilettura di carte processuali e investigative vecchie anche di trent’anni, già conosciute e storicamente acquisiste. Insomma, una versione“didattica” della Giustizia che, tutto sommato, fa a pugni col normale sentire comune, non fosse per altro, per il fattoche gli studenti, di norma, per dimostrare ai professori d’essere preparati, pagano pure le tasse scolastiche universitarie, mentre i funzionari di Polizia, anche per la mera attività di studio, percepiscono uno stipendio. Per di più, questa mattina, sembrava proprio d’assistere a una prova d’esame di maturità, in cui il candidato (cioè, il teste), per quanto con un eloquio grigio non meno del completo indossato, appare quasi perfetto, quando le domande provengono dai membri interni della commissione (i pubblici ministeri); ma perde inevitabilmente lucidità e ricorre ai “non ricordo”, quando il microfono passa ai “membri esterni”, cioè, agli avvocati difensori. È in questa fase, alle 15 del pomeriggio e per una mezz’ora scarsa, che le quasi quattro ore di esposizione mattutina – dalle 9.30 alla pausa pranzo -, apparsa tanta logica e cristallina agli occhi degli astanti e, in particolare, di coloro che non frequentano la materia “terrorismo” da almeno qualche decennio, s’offusca e perde di consistenza dietro le precise domande di Alessandro Pellegrini, il quale, puntigliosamente, costringe il funzionario ad ammettere come tante delle suggestioni evocate nella sua “rilettura” degli atti del passato siano, in realtà, già state vagliate dai magistrati della città e del Paese e considerate, di fatto, inconsistenti o quasi. Poi, la mazzata finale, in conclusione di questo primo, vero atto del nuovo processo per la strage di Bologna, che, ancora esattamente come in un qualsiasi esame, viene sferrata mascherata da domanda assolutamente innocua: “Dottor Marrotta – chiede Gabriele Bordoni -: tra gli atti di fonte primaria da lei analizzati, qualcuno è successivo al novembre del 2008?”. Marrotta ha un’istante d’esitazione, ma, poi, candidamente ammette: “No!” Peccato, però, che esattamente e precisamente quegli atti – assolutamente noti, anche per ammissione del presidente della Corte, Michele Leoni, il quale più volte ha chiarito come l’investigatore chiamato oggi a deporre abbia semplicemente riletto gli atti pregressi di innumerevoli processi già definiti e archiviati – abbiano portato non uno, ma ben quattro pubblici ministeri a chiedere e a ottenere in anni neanche tanto lontani l’archiviazione della posizione di Cavallini. E che in tante ore di deposizione e di “stimolazioni della memoria” a opera di pm e parti civili, il Marrotta, onestamente, non abbia potuto aggiungere una virgola in più a quanto già noto da sempre, confermando una volta di più la sensazione che, quello che si sta celebrando a Bologna, è la duplicazione di procedimenti già sviluppati, quindi un processo che non sarebbe mai neanche dovuto iniziare.