Fedeli inciampa ancora sull’italiano. L’Accademia della Crusca non la perdona

18 Apr 2018 10:51 - di Franco Bianchini

La Fedeli è scivolata anche agli sgoccioli della sua esperienza sulla poltrona ministeriale. Tra lei, la grammatica e la lingua italiana è una guerra continua. Una guerra che è pane per i denti dei social, inondati di vignette e di sfottò. Stavolta la stangata arriva dell’Accademia della Crusca, che (giustamente) se la prende con il ministero dell’Istruzione. Nel mirino dei linguisti – come si legge su Repubblica – c’è un documento: il Sillabo programmatico, pubblicato a marzo e dedicato alla promozione dell’imprenditorialità nelle scuole statali secondarie di secondo grado. In questo documento la lingua italiana è stata abbandonata. O meglio, messa da parte per far posto ai vocaboli inglesi. Il tutto in modo sovrabbondante e inutile. La Fedeli ha cercato di difendersi: «Non capisco, sinceramente, da quali documenti o atti del Miur ricaviate la presunta volontà ministeriale di promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana», la sua risposta in una lunga nota stampa. Ma i linguisti sono stati durissimi: «Più che un’educazione all’imprenditorialità, sembra promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi delle forze imprenditoriali del futuro».
La Fedeli però ha ribadito, peggiorando la situazione: «L’utilizzo di termini stranieri si rivela funzionalmente necessario quando il “prestito” consente una funzione designativa del tutto inequivoca, specie se si accompagna all’introduzione di nuove “cose”, nuovi “concetti” e delle relative parole». Ma è proprio l’uso “sovrabbondante” di questo “prestito” che la Crusca ha stigmatizzato nel Sillabo. A leggere il testo, hanno spiegato i linguisti, pare che «per imparare a essere imprenditori non occorra saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building; non serva progettare, ma occorra conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day». Per questo gli accademici dell’istituto culturale fiorentino hanno rinunciato a proporre traduzioni per gli anglicismi usati (per farlo, «sarebbe necessario tradurre l’intero documento»). Hanno scelto invece di lanciare un appello al Miur: «Si usi maggiore rispetto nei confronti della lingua e della cultura italiana».

Commenti

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  • Varita 18 Aprile 2018

    Bene signori linguisti aspettavo da tempo un Vostro Intervento su questo scempio che da tempo sta degradando la nostra identità. Possono imporci la globalizzazione economica commerciale non la globalizzazione culturale e identitaria. Lasciate che almeno la bellezza della nostra lingua venga goduta anche dalle future generazioni. Le abbiamo defraudate già di troppe cose. Grazie

  • giorgio floridia 18 Aprile 2018

    Gli accademici hanno perfettamente ragione. E’ ora di accantonare definitivamente gli inglesismi da cui siamo soffocati, e di esprimersi in i tramite la nostra meravigliosa lingua, testimone ed erede della civiltà romana, maestra di cultura e di insegnamenti unici nella storia dei popoli.

  • Laura Prosperini 18 Aprile 2018

    buon giorno cari lingiusti! benvenuti nel mondo turbo liberista globalizzato, in esso non è necessario avere idee meno che mai originali! assolutamente gravoso essere colti ed impossibile riferirsi alle proprie radici,
    no, è urgente, necessario, profittevole seguire i percorsi smart and easy che ci vengono imposti ops pardon che ci vengono socialmente indicati dagli usa…
    non siate anche voi provinciali, che diamine, cosa volete che conti essere capaci di critica
    suvvia oggi bisogna avere solo molte app punto e basta, si fanno i soldi così, sapete???