“Anatema” del Vaticano su Whatsapp: «Il limite a 16 anni non basta»
La decisione di innalzare l’età minima per l’utilizzo di WhatsApp vietandola agli under 16 «non risolve il problema». Lo sottolinea L‘Osservatore Romano, in un articolo in cui si sofferma ampiamente sul tema dei social e del modo in cui vengono utilizzati. «Oltre alle norme, sempre benvenute, ci sarebbe bisogno di una cultura dei social», si legge sul giornale del Vaticano, che invoca una alleanza educativa che coinvolga anche le scuole perché «o genitori da soli non ce la fanno».
«Dunque, anche WhatsApp sarà vietato ai minori di 16 anni. Tutto ciò avverrà però in via del tutto teorica, perché si tratta di un adeguamento sostanzialmente formale», scrive L’Osservatore romano, sottolineando che «la nuova normativa non prevede l’esibizione di un documento da parte dell’utente e non impone alle società un rigido controllo. Agli utenti, vecchi e nuovi, verrà di fatto chiesto solo di dichiarare se la propria età è superiore ai 16 anni». Per il quotidiano d’Oltretevere, quindi, «non è chiaro come WhatsApp, Facebook e gli altri social intendano far valere questo limite, se per autocertificazione o incrociando i dati di diverse piattaforme».
Lamentando che finora i controlli sono stati «praticamente inesistenti», L’Osservatore romano ricorda che «a Facebook e a WhatsApp si sono iscritti senza problemi anche bambini con meno di tredici anni» e che «l’unico controllo è stato quello esercitato dai genitori». Una realtà che «sostanzialmente non cambierà con la nuova normativa in assenza di altre verifiche» e che, quindi, lascerà immutati i problemi riscontrati finora. Primo fra tutti il fatto che «spesso i genitori o non sanno o restano indifferenti». Da qui la constatazione per cui «innalzare l’età minima, per quanto lodevole, non risolve il problema».
Per L’Osservatore Romano, al di là dei veti, la questione è culturale: «Molti genitori, pur volendolo, non riescono a essere presenti nella vita social dei figli, che occupa molto del loro tempo e dove intrattengono la maggior parte delle loro relazioni. Altri ignorano o sottostimano i pericoli di un accesso incontrollato ai social: contatti con siti pericolosi, rischi di adescamenti, la possibilità che foto di minori finiscano in siti pedopornografici, i danni derivanti da una sconsiderata condivisione di immagini e video sconvenienti o relativi a violenze e atti di bullismo, per citarne solo alcuni». «Le famiglie non possono farcela da sole. Oltre alle norme, sempre benvenute, ci sarebbe bisogno di una cultura dei social. La scuola – è la proposta del giornale del Vaticano – potrebbe fare qualcosa in tal senso, educando i ragazzi a un uso critico e responsabile di questi strumenti. Ma non solo con progetti una tantum e a discrezione dei vari istituti, ma attraverso un percorso strutturato e obbligatorio».