La Consulta la dà vinta alla Kyenge: «Calderoli va processato»
Non sono «insindacabili» le frasi offensive rivolte all’allora ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge dal senatore della Lega, Roberto Calderoli, che, durante un comizio, le aveva attribuito le «sembianze di un orango» e le aveva detto che poteva fare il ministro, ma in Congo. La Corte costituzionale ha annullato la «deliberazione di insindacabilità» adottata dal Senato il 16 settembre e ha accolto il ricorso del Tribunale di Bergamo che aveva sollevato il conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
La Consulta contro il Senato
Per la Consulta, infatti, si legge nella sentenza depositata oggi, «non spettava al Senato della Repubblica affermare che il fatto, per il quale pende il procedimento penale a carico del senatore Roberto Calderoli davanti al Tribunale ordinario di Bergamo, concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione». «Le opinioni espresse dal senatore Calderoli non hanno, inoltre, alcun nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamentare», osservano i giudici costituzionali, che ritengono fondato il ricorso perché «quando le Camere sono chiamate a deliberare sull’insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost. di opinioni espresse da loro componenti, esse debbono compiere una valutazione sulla riconducibilità di dette opinioni alle funzioni parlamentari» e «non sono chiamate a pronunciarsi sugli effetti che la singola autorità giudiziaria fa derivare dall’opinione espressa dal parlamentare, ma solo sulla correlazione tra quest’ultima e l’esercizio delle funzioni parlamentari».
«Il caso è esclusiva competenza dei giudici»
«È di esclusiva spettanza del giudice, invece, valutare se le dichiarazioni ascritte al parlamentare diano luogo a una qualche forma di responsabilità giuridica», spiega la sentenza. «Altrimenti detto, è soltanto l’autorità giudiziaria, nell’ambito di una attribuzione costituzionale esclusiva, che può qualificare giuridicamente l’opinione espressa, ricollegando al fatto storico gli effetti giuridici previsti dalla legge. Ed è sempre al potere giudiziario, secondo i rimedi consueti riconosciuti dagli ordinamenti processuali – concludo i giudici della Consulta – che spetta il controllo sulla correttezza di tale definizione giuridica».
Le offese a persone o a istituzioni, le oscenità, il linguaggio blasfemo e cose simili non hanno nulla a che vedere con le funzioni parlamentari che non le contemplano e perciò è compito esclusivo della magistratura intervenire secondo quanto stabiliscono le leggi vigenti. Le parole di Calderoli sono espressione della sua intelligenza e della sua educazione e non concorrono né a chiarire i problemi politici affrontati dal parlamento né a legiferare.