La latitante Raghada non molla: “Mio padre Saddam? Tradito dagli Usa”
Le autorità irachene hanno pubblicato oggi una nuova lista dei ”leader terroristi ricercati sul piano internazionale”. In cima alla lista figura il nome del fondatore dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi. Ieri le autorità irachene avevano già diffuso un elenco di 60 personalità ”più ricercate”, tra cui figurano miliziani dell’Isis, di al-Qaeda o del partito Baath. Tra questi anche la figlia più grande dell’ex rais iracheno Saddam Hussein, Raghad, che dal 2003 vive in Giordania. Al-Baghdadi, ”califfo” dell’Isis, è nato nel 1971. Figurano anche Abdel Rahman al-Qaduli, noto con il nome di Abu Alaa al-Afari, nato nel 1959 a Mosul, e sette altri miliziani iracheni originari di Mosul, Erbil, Suleimaniyeh (in Kurdistan), Kirkuk e Abu Ghraib, vicino a Baghdad. Tra gli stranieri risultano due sauditi, un giordano, uno yemenita e un qatariota. Tutti appartengono all’Isis.
Tenace, come il padre che continua a difendere, accusando gli Stati Uniti di averlo ”tradito”. Fedele, a quel padre che ha ordinato la decapitazione del marito che era fuggito con lei in Giordania disertando dall’esercito. Orgogliosa, perché ”fino all’ultimo momento mio padre è stato orgoglioso di me”. E’ il ritratto di Raghad Hussein, la figlia maggiore del defunto presidente iracheno Saddam Hussein, oggi 49enne, che i servizi di sicurezza iracheni hanno inserito nella ”lista delle persone più ricercate” dalle autorità. Raghad vive in una casa ad Amman in Giordania trasformata in un santuario del padre, con un grande dipinto dell’ex raìs iracheno di fronte alla porta d’ingresso dell’abitazione. Padre di cui lei continua a difendere la memoria, da quel 30 dicembre del 2006, la mattina dell’Eid al-Adha quando Saddam Hussein, raìs dell’Iraq dal 1979 alla sua deposizione per mano Usa nel 2003, venne impiccato a Baghdad. L’emittente al-Iraqiya trasmise le immagini dell’esecuzione fino a quando venne messo il cappio attorno al collo di Saddam, poi interruppe la diretta. Ma un video dell’esecuzione cominciò a circolare poche ore dopo la morte dell’ex raìs. Quel video Raghad Hussein non l’ha mai voluto vedere. ”Non ho mai visto quel momento e mi rifiuto di vederlo”, aveva raccontato Raghad alla Cnn nella prima intervista rilasciata dopo la morte del padre. “I dettagli della sua morte sono brutti e dolorosi, ma è stata una morte onorevole”, aveva sentenziato. Da Amman, dove Raghad ha cercato rifugio dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003, la donna accusa gli Stati Uniti e l’allora presidente americano George W. Bush di essere responsabili del caos che ancora oggi si registra in Iraq. E definisce il padre ”un eroe, coraggioso, nazionalista, un simbolo per milioni di persone. Era un combattente e sapeva che la sua fine non sarebbe stata facile”. Nei suoi racconti è capitato che ammettesse ”sì, c’era della brutalità, qualche volta molta e io non sopporto la brutalità. Ma l’Iraq è un Paese difficile da governare e la gente lo sta capendo solo ora”. Eppure i rapporti tra lei e il padre non furono sempre idilliaci. A 15 anni Raghad sposa Hussein Kamel, un funzionario militare di alto rango che ha curato lo sviluppo missilistico dell’Iraq, il programma di ricerca nucleare del Paese e la dotazione di armi chimiche e biologiche. Sua sorella Rana, che ora vive anche in lei in Giordania, sposa il fratello di Kamel. Nel 1995 i due fratelli disertano e vanno con le loro mogli ad Amman. Meno di un anno dopo Saddam Hussein li convince a tornare in Iraq promettendo l’amnistia, ma una volta rientrati ordina loro di divorziare dalle figlie e li fa uccidere per decapitazione. I rapporti tra Raghad e il padre subiscono così un duro colpo, per rafforzarsi solo dopo l’invasione Usa del 2003. ”Fino all’ultimo momento mio padre è stato orgoglioso di me”, ha detto in un’intervista. Le autorità irachene hanno ora deciso di inserire il nome di Raghda Hussein nella ”lista delle persone più ricercate”. Ma a sua discolpa Raghda aveva in precedenza detto che lei, le sue due sorelle e sua madre non venivano coinvolte nelle decisioni prese dal padre. ”Le donne della famiglia non erano coinvolte. Rispondevano solo a domande. E non venivano mai interpellate”, aveva spiegato. Durante i due più grandi massacri commessi in Iraq sotto Saddam Hussein, quello di Dujeil nel 1982 e quello di Halabja contro i curdi alla fine degli anni Ottanta, Raghad era solo un’adolescente con poca consapevolezza di quello che stava accadendo. ”Ero una grande studiosa. Ho trascorso la maggior parte della mia vita studiando”, aveva detto. Ma nel maggio del 2016 le autorità irachene chiedono a quelle giordane di estradare Raghad, e con lei altre personalità dell’ex regime che il governo iracheno accusa di sostegno al terrorismo e riciclaggio di denaro, per poterla processare in patria. Le autorità di Amman hanno sempre respinto la richiesta di estradizione, anche quella giunta in precedenza dall’ex premier iracheno Nuri al-Maliki. La figlia dell’ex rais ha infatti ottenuto garanzie personali e politiche da parte del governo giordano sul fatto che nessuna istanza irachena o internazionale in cui compaia il suo nome sarà presa in esame in via ufficiale.