Enzo Fragalà, oggi l’anniversario, ricordato con una fiaccolata a Palermo
Sotto una pioggia battente che, fin dalla mattinata, non ha lasciato un attimo di tregua a Palermo, una ventina di persone, fra cui la famiglia di Enzo Fragalà, hanno ricordato oggi, nei pressi del Tribunale del capoluogo siciliano, il noto penalista, docente e parlamentare di Alleanza Nazionale, colpito a morte dalla mafia a colpi di bastone il 23 febbraio di otto anni fa, sotto al suo studio, in via Nicolò Turrisi e spirato tre giorni dopo, in seguito alle gravi ferite riportate, all’ospedale civico.
Presente la moglie e i figli, la folla ha sfilato in silenzio per una fiaccolata ed ha poi recitato una preghiera lì dove i killer di Cosa Nostra attesero nel buio, quella sera di febbraio del 2010, il parlamentare di An, “colpevole”, agli occhi delle cosche, di aver osato sfidare la mafia.
Non con i gesti inutili e a buon mercato dei professionisti di un’Antimafia parolaia, non con le frasi fatte e con gli slogan, ma con il suo lavoro puntuale di penalista portato avanti fino in fondo nella traccia di un’etica umana e di una deontologia professionale che non ammetteva tentennamenti né comode prese di posizione.
Enzo Fragalà è stato ucciso per questo dalla mafia, per dare una lezione a lui e a quella classe forense che, a Palermo ma anche altrove, non ammette scorciatoie, non si piega e ha, come unico faro, la Giustizia e l’antimafia praticata quotidianamente e non chiacchierata.
Non è un caso che al processo in corso in questi mesi per l’omicidio di Enzo Fragalà, e che vede alla sbarra sei mafiosi di Borgo Vecchio e Porta Nuova, l’avvocatura si sia costituita parte civile.
E, d’altra parte, nel corso delle lunghe e complesse indagini portare avanti dai carabinieri del Nucleo investigativo – ma anche nelle parole dei pentiti e nelle intercettazioni – è emerso come Enzo Fragalá era stato condannato a morte proprio perché “sbirru”, perché aveva osato spingere i propri clienti ad aprirsi alla magistratura scardinando fin dalle fondamenta una delle regole principali di Cosa Nostra.
Di più. Nel corso di un’udienza, pochi giorni prima di essere ammazzato, Enzo Fragalá aveva letto una lettera della moglie di un boss che si scusava con un cliente dell’avvocato per averlo coinvolto, con una bugia, in un processo per riciclaggio. Troppo per Cosa Nostra che veniva così messa alla berlina dalle parole della moglie di un boss, parole lette in aula da Enzo Fragalá.
Così, si è scoperto poi, grazie alle parole dei pentiti, agli accertamenti dei carabinieri, alle intercettazioni e anche al lavoro della squadra Catturandi della polizia di Stato che in quei mesi era focalizzata su un’altra indagine, come si mise in moto il meccanismo spietato per colpire Enzo Fragalà: gli accordi, al telefono, fra i mafiosi oggi alla sbarra, per ritrovarsi lì, nei pressi di via Nicolò Turrisi, e quelli per procurarsi il bastone, il manico di un piccone. Fino all’agguato, di fronte a 9 testimoni che videro uno dei killer percuotere Fragalà in maniera brutale lasciandolo poi esanime a terra. Poi la fuga, a bordo di uno scooter. E le telecamere di un negozio che riprendono per caso due degli imputati oggi alla sbarra transitare lì davanti al luogo dell’agguato, prima e dopo l’aggressione.
In una città, Palermo, oggi alle prese, quasi con sgomento, con la mafia dei Centri Sociali e una violenza barbara che nulla ha da imparare da Cosa Nostra in quanto a ferocia e controllo del territorio, c’erano una ventina di persone, non di più, oggi a ricordare Enzo Fragalà assassinato per aver fatto il proprio dovere di avvocato e di cittadino.