Repubblica ceca al voto per il presidente: favorito l’uscente Zeman

9 Gen 2018 14:31 - di Redazione

La Repubblica ceca torna alle urne venerdì e sabato per il primo turno delle elezioni presidenziali. Due, secondo i sondaggi della vigilia, i candidati che potrebbero aggiudicarsi un posto al ballottaggio del 26 e 27 gennaio: l’attuale presidente, Milos Zeman, che corre per un secondo mandato di cinque anni, che avrebbe il 32% dei voti, e Jiri Drahos, 68 anni, professore di chimica, il 21,5%. Due figure agli antipodi, due stili agli opposti, sottolineano gli analisti locali, ricordando come il 73enne Zeman – accusato di fomentare divisioni e alimentare paure nei confronti degli immigrati e dei musulmani, l’uomo che ha paragonato l’Ue al Patto di Varsavia – nel maggio dello scorso anno abbia svolto un ruolo di primo piano nella turbolenta crisi istituzionale che ha scosso il paese, quando i contrasti tra l’allora premier Bohuslav Sobotka e il suo ministro delle Finanze Andrej Babis – accusato di evasione fiscale ed altri reati finanziari e anche per questo inviso al premier – sfociarono in un confronto aperto tra lo stesso capo del governo e il presidente Zeman, sostenitore di Babis (ora premier), un vero e proprio braccio di ferro, con tanto di premier dimissionato contro la sua volontà in diretta tv dal capo dello stato.

Dall’altro lato il 68enne Jiri Drahos, professore di chimica, titolare di una decina di brevetti, per sei anni a capo dell’Accademia delle Scienze di Praga, non è un politico di lungo corso ed è un uomo che predilige i toni misurati dell’accademico, la riservatezza, la pacatezza, tanto da risultare incolore, accusano i suoi oppositori, che lo hanno soprannominato “acqua distillata”. Ma l’immagine un po’ sfocata e la posizione defilata potrebbero essere frutto di una strategia deliberata: “Per battere Zeman al ballottaggio non serve qualcuno che abbia tanti sostenitori, ma qualcuno con pochi nemici”, dice il ricercatore Jan Herzmann. Molto diverse anche le campagne elettorali condotte dai due candidati: Zeman, certo della sua vittoria, ha scelto in questa fase precedente il primo turno della campagna elettorale di fare a meno degli spot elettorali. Così come ha rinunciato a partecipare ai dibattiti televisivi tra candidati. La sua campagna “è diversa, anticonvenzionale”, nota Herzmann, ricordando che Zeman ha approfittato del suo primo mandato per girare il Paese in lungo e in largo, quasi come se fosse impegnato in una costante campagna, sottolineato gli analisti. Ed è stato presente in maniera abbastanza massiccia sui social. “Con un po’ di esagerazione, si potrebbe dire che i suoi sostenitori e quelli che hanno votato per Donald Trump sono molto simili – commenta Herzmann -. Generalmente abitano in città medio-piccole o in campagna”.

Al primo turno si presentano anche altri sette candidati, tra cui Mirek Topolanek, a capo del governo che cadde nel marzo 2009 durante il semestre di presidenza della Ue, Michal Horacek, imprenditore e autore di testi musicali, e l’ex capo della Skoda, Vratislav Kulhanek. Il voto ha implicazioni che superano i confini del Paese: Zeman negli ultimi anni ha guardato più a est che a ovest, secondo l’analista politico Jiri Pehe, che ricorda la visita da Putin a Sochi a novembre. Molto vicino al premier Babis, molto critico dell’apertura ai rifugiati della cancelliera tedesca Angela Merkel, Zeman ha approfittato del suo messaggio di fine anno per attaccare l’Ue e criticarla per la sua incapacità di difendere i confini esterni. “Sono convinto che il concetto delle quote di migranti finirà nella discarica dei rifiuti della storia. Nessuno è autorizzato a dirci chi possiamo lasciar entrare nel nostro territorio”, ha affermato. Anche Drahos ha criticato il concetto delle quote, “una strategia mal concepita e inadeguata”, ha detto, ma è assolutamente contrario ad un referendum sulla permanenza del Paese nella Ue, a differenza di Zeman, e ha sostenuto l’introduzione dell’euro, anche se l’82,5% dei cechi è contrario. Per quanto ampiamente cerimoniale e rappresentativa, la figura del capo dello stato è considerata di grande influenza nel Paese.

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