Così il “cedimento strutturale” diventa la metafora di una Nazione in crisi
Un cedimento strutturale, in realtà, potrebbe essere soltanto un sinonimo. Sinonimo d’assenza di cura. E, perciò, di cultura. Nella fattispecie, certo, si é trattato di una dannatissima rotaia. Il cui cedimento, per l’appunto strutturale, é alla base di questi nuovi lutti che, guarda caso, hanno coinvolto decine di pendolari. Ma quando il cedimento strutturale si reitera, quando diviene regola, quando lo si attende come calamità tanto certa seppur imprevedibile, ecco che l’assenza di cura (e di cultura) tracima nella metafora. Metafora di un disgraziatissimo Paese -senza distizioni per una volta tra Nord e Sud- dove regnano incuria e distrazione, supponenza e abbandono e dove, perciò, tragedie e disastri sono quotidiano companatico, conto dei conti. Non importa cosa sia: ponte o cavalcavia, discarica o deposito di stoccaggio, argine o paratìa, scuola o nosocomio, strada montana o bretella padana o trazzera isolana: qui da noi ogni opera umana è un rischio. Rischio mai calcolato. Soprattutto se l’infrastruttura è recente e se è pure realizzata al massimo ribasso, col mirabile risultato che saranno i lustri e non i secoli a renderla vetusta. Ecco perchè l’ennesimo lutto su rotaia -causato da cedimento strutturale- appare come la metafora più vera di quest’Italia alla deriva. Perchè è solo qui che alla volontà dell’impegno segue la negligenza dell’abbandono. Che al dovere giurato corrisponde l’ignavia della pigrizia. Perchè è qui che il tempo scorre e fa evaporare ogni promessa. Con l’oblio che annulla l’obbligo di attenzione e di perizia. Di controllo e di manutenzione.