Apple nella bufera, i giudici indagano: «Obsolescenza programmata»
Nuovi guai per Apple. Il colosso di Cupertino è ora nel mirino della giustizia francese, che ha aperto un’inchiesta sulla “obsolescenza programmata” dei dispositivi della casa di Cupertino – nel mirino in particolare gli iPhone 6 – che subirebbero una riduzione programmata delle prestazioni e della propria durata. La decisione della procura di Parigi fa seguito all’iniziativa di un’associazione, Halte a l’obsolescence programmée (Hop), che ha portato la vicenda all’attenzione dell’autorità giudiziaria. L’obsolescenza programmata è una pratica commerciale ampiamente criticata secondo cui i prodotti vengono costruiti con una data di scadenza in modo che i consumatori siano costretti a sostituirli. Per i consumatori questa pratica non è etica e si sospetta che sia particolarmente diffusa nel settore dell’elettronica, che produce montagne di rifiuti non riciclabili ogni anno si legge su thelocal.fr.
Apple, le scuse e le class action
Il mese scorso Apple ha confermato ciò che si sospettava da anni, cioè di rallentare intenzionalmente le prestazioni degli iPhone più vecchi mentre le loro batterie si indeboliscono con il passare degli anni. Poiché «le batterie agli ioni di litio perdono capacità di rispondere ai picchi di corrente quando sono al freddo, hanno poca carica o sono vecchie» e ciò «può portare all’inatteso spegnimento dell’apparecchio per proteggere i suoi componenti», ha dichiarato Apple, «lo scorso anno abbiamo rilasciato una funzionalità per iPhone 6, iPhone 6s e iPhone SE per limitare i picchi istantanei ai casi strettamente necessari, in modo da evitare lo spegnimento improvviso quando si verificano queste condizioni». In pratica, Apple per motivi di sicurezza è andata a diminuire le prestazioni degli iPhone che presentavano una batteria fin troppo consumata. Nonostante le scuse («Sappiamo che alcuni di voi ritengono che Apple vi abbia deluso. Ci scusiamo… Abbiamo sempre desiderato che i nostri clienti potessero utilizzare i propri iPhone il più a lungo possibile»), negli Usa sono partite immediatamente delle class action per il comportamento «ingannevole, immorale e non etico».