Palestinesi in piazza per i “giorni della rabbia”: decine di feriti e arrestati

9 Dic 2017 16:05 - di Redazione

A dare man forte a Donald Trump è arrivata la condanna della Corea del Nord, che ha definito “perversa” la decisione di riconoscere Gerusalemme. Purtroppo però nella regione continuano i disordini: proteste sono in corso in queste ore a Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza. Lanci di pietre e oggetti contro la polizia israeliana, bombe molotov, blocchi stradali continuano da parte dei palestinesi incoraggiati dal movimento estremista Hamas e dalla Jihad islamica. È il secondo dei “tre giorni di rabbia” proclamati dai palestinesi, che hanno anche lanciato razzi contro le città israeliane; ai lanci sono seguiti subito raid dell’aviazione di Tel Aviv che hanno bombardato postazioni terroriste. Inoltre decine di persone sono rimaste intossicate per aver inalato gas lacrimogeni o ferite dai proiettili di gomma nei nuovi scontri scoppiati tra manifestanti palestinesi e forze israeliane alla periferia nord di Betlemme, in Cisgiordania. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa, centinaia di manifestanti hanno marciato contro il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele fino alla tomba di Rachele, dove si sono verificati incidenti con le forze israeliane. Nella stessa area si sono registrati scontri anche ieri. Si tiene oggi al Cairo una riunione di emergenza dei ministri degli Esteri dei Paesi membri della Lega Araba sul riconoscimento da parte statunitense di Gerusalemme come capitale di Israele. Il vertice, come ha riferito al-Arabiya, è stato richiesto dai rappresentanti palestinesi e giordani. L’ambasciatore giordano al Cairo, Ali al-Ayed, citato dall’agenzia Petra, ha spiegato che l’incontro odierno ha l’obiettivo di stabilire delle misure da adottare nei confronti della decisione Usa e delle ripercussioni “negative” sulla stabilità della regione. È stato intanto confermato l’annullamento dell’incontro previsto a Betlemme tra il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas e il vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, durante la visita di quest’ultimo nella regione. Lo sostengono fonti vicine allo stesso Abbas, citate dai media locali, precisando che la decisione è stata presa dalla leadership palestinese in segno di protesta contro il riconoscimento da parte Usa di Gerusalemme come capitale di Israele.

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