«Io lavoro da schiava nei call center per 90 euro al mese»: il racconto
Due anni e mezzo di pensione in 14 anni di lavoro. Due figli piccoli, un marito artigiano e un sorriso aperto al futuro, nonostante tutto. Michela, 33 anni, si guarda allo specchio e non vede la protagonista di ‘Tutta la vita davanti’, ma una combattente come lei. “Lavoro e voglio essere pagata, mi sembra giusto” racconta in un’intervista all’AdnKronos, precisando che ancora lei quei 33 centesimi all’ora, guadagnati in un call-center di Taranto “con un’unica commessa: vendevo i pacchetti internet e di telefonia per 6 ore al giorno”, quei 92 euro al mese di stipendio neanche li ha visti: perché “il pagamento è a 60 giorni, anche se da contratto era a 30”. Uno scempio, un racconto che il governo, Renzi, Padoan, dovrebbero ascoltare quando parlano di ripresa. Una presa in giro. La situazione di Michela non è isolata. E’ bastato che quel bonifico, “meno di cento euro per un intero mese di lavoro a sei ore al giorno” arrivasse alle sue colleghe per accendere la miccia.
“Chi va al bagno perde un’ora di lavoro”
Alle loro rimostranze, chiarisce il segretario generale della SLc Cgil di Taranto, Andrea Lumino, “l’azienda ha risposto che il calcolo è giusto perché se per 5 minuti si lascia” la postazione “per andare al bagno” si perde “un’ora intera di lavoro”. Una schiavitù, non sappiamo quale altro termine possa sintetizzare ua sotuazione di lavoro scandalosa. Anche per “un ritardo di tre minuti l’azienda non riconosceva alle lavoratrici la retribuzione oraria”. “Ho calcolata l’effettiva paga oraria con la calcolatrice e quando ho visto il risultato di 33 centesimi di euro all’ora ho pensato di aver sbagliato – dichiara incredulo Lumino -. Ho rifatto i conti e il risultato era sempre lo stesso. Davvero, non riuscivo a crederci”. Il sindacalista annuncia che ha già contattato i legali per “usare la legge contro il caporalato per fermare questo sfruttamento”. Nuovi schiavi, nuovi aguzzini.
Condizione da schiava
Pochi euro e pagati non proprio subito, ma a due mesi. “I soldi? Mi dovrebbero arrivare a gennaio, ma dopo quello che è successo chissà” aggiunge, raccontando i suoi mille impieghi in nero. Lasciata l’università a 5 esami dalla laurea in Scienze Sanitarie “per sposarmi”, ha fatto di tutto. Dalla vendemmia alle pulizie, “ma sono stata anche in cucina”, “ho fatto la segretaria” e “anche la barista”. Non sta mai ferma e, tra le tante attività, fa anche volontariato con la madre in una struttura contro la violenza sulle donne: il centro ascolto Fiorenza di Lizzano in provincia di Taranto. “In memoria di una mia parente, vittima di femminicidio. Le hanno sparato alla testa, ma questa è un’altra storia” racconta la giovane mamma. Non si può dire che Michela non sia vivace, parla a raffica e si capisce perché le dicono che “è portata per vendere”. Racconta di stipendi da fame, ma ci tiene a precisare con un certo orgoglio “che non è mai scesa sotto i 350 euro al mese” come ora. Con quei soldi, “i 6.51 euro all’ora come da contratto” avrebbe voluto comprare un regalo per i suoi figli, la piccola ha 17 mesi e il bimbo di 10 anni, “progettavo di comprargli anche qualcosa da sola senza fare tutto con mio marito”, e pagare l’assicurazione dell’auto. Sogni molto terreni, ma proibiti se il bonifico come è stato non arriva. Cosa desidero sotto l’albero? “Se non il posto fisso, vorrei lo stipendio fisso: quello sì” dice ridendo e confessando di avere un progetto. “Vorrei essere indipendente, aprire un locale per fare piatti d’asporto con mia madre. Il nostro piatto forte? Oltre alle orecchiette con le cime di rapa, tradizionali ma con un tocco in più, che non vi rivelo, la schiacciata di mia nonna con capperi, alici e tonno – conclude Michela -. Servono soldi, però, anche per mettere su una piccola attività familiare”.!