Il Papa e il Padre Nostro: ma le correzioni le aveva già fatte la Cei al tempo di Ratzinger

10 Dic 2017 11:59 - di Adele Sirocchi

Ha fatto molto discutere, e c’era da aspettarselo, il fatto che papa Francesco abbia invocato una correzione del Padre Nostro, la preghiera più conosciuta, l’unica che Gesù abbia insegnato ai suoi discepoli e nella quale ogni parola ha un preciso e profondo significato. In particolare l’attenzione si è concentrata in questi ultimi giorni su quella frase, “non ci indurre in tentazione”, che in realtà era stata già modificata con la nuova traduzione della Bibbia, nel 2008, approvata dalla Cei sotto il pontificato di Ratzinger.

La nuova traduzione della Bibbia – dove la frase del Pater Noster è così tradotta: “non abbandonarci alla tentazione”) ha cercato di ovviare al malinteso che la lingua italiana poteva generare attraverso il verbo “indurre” (spingere, istigare). Nella nuova traduzione si cambia anche il saluto alla Vergine, Ave Maria, con quello dell’Angelo: “Rallegrati, Maria” ma questo non modificherà la tradizionale preghiera alla Madonna, cioè l’Ave Maria.

Si ritiene che il nuovo Padre Nostro sarà recitato da tutti i fedeli quando arriverà la terza edizione del Messale Romano. Dopo il concilio Vaticano II, che diede istruzioni su come riformarlo, si sono susseguite l’edizione del 1970, promulgata da Paolo VI e quella del  2002, anno in cui è stata promulgata da Giovanni Paolo II. Per l’Italia, non esiste una versione integrale della terza edizione del Messale Romano che sia approvata per l’uso liturgico (come esiste, invece, dal 2010, per l’area anglofona). Il testo resta ancora da definire in particolare per la questione delle parole da usare per la liturgia eucaristica: il sangue versato da Cristo deve dirsi versato per tutti o versato per una moltitudine? Per questa seconda versione, pro multis, aveva optato papa Benedetto XVI. Papa Francesco preferirebbe invece una traduzione più ecumenica: Gesù ha versato il proprio sangue non per pochi, ma per tutti.

L’attuale Papa ha da ultimo modificato la normativa canonica relativa alla traduzione in lingua volgare dei libri liturgici con il Motu proprio  «Magnum Principium», che stabilisce che la traduzione, approvata dalle Conferenze episcopali nazionali, non vada più sottoposta ad una revisione da parte della Sede apostolica (recognitio), ma alla sua conferma (confirmatio).

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