Casale San Nicola, CasaPound: ora difendere gli italiani è un crimine (video)

12 Dic 2017 14:33 - di Redazione

“Ingiustizia è fatta. Con le condanne abnormi inflitte per i fatti di Casale San Nicola si mette nero su bianco che difendere i diritti degli italiani agli occhi dello Stato è un crimine che crea più allarme sociale di un attentato terroristico. E in effetti in una Nazione in cui la giustizia sociale e il rispetto per i propri cittadini sono ai minimi, difendere gli italiani è un atto rivoluzionario”. Così il presidente di Casapound Italia Gianluca Iannone commenta le condanne di I grado emesse dal Tribunale di Roma nei confronti di 9 esponenti del movimento, tra i quali il vicepresidente Andrea Antonini e il responsabile romano Davide Di Stefano, per i fatti avvenuti il 17 luglio 2015, nell’ambito di una protesta contro l’apertura di un centro di accoglienza nel comprensorio nel quale vivono solo 250 famiglie italiane. “Gli incidenti – spiega Cpi – scoppiarono dopo tre mesi di sit in permanente, quando il presidio, al quale partecipavano anche donne e anziani, si oppose fisicamente al passaggio degli autobus carichi di clandestini. Ne seguì una violenta carica da parte della Polizia, che è poi sfociata nel processo che si è chiuso oggi”. “Le condanne, peraltro a pene che non hanno precedenti in Italia per questo genere di reati, arrivano giusto all’avvio della campagna elettorale per le politiche che vedranno Casapound impegnata con Simone Di Stefano candidato premier – aggiunge Iannone- Il paradosso è che, pochi mesi dopo quelle scene che nessuno avrebbe mai voluto vedere, l’allora prefetto di Roma Franco Gabrielli, con un clamoroso dietrofront, decise di chiudere la struttura per gli stessi motivi che i residenti avevano cercato invano di spiegargli, guadagnandosi solo accuse di razzismo, repressione e qualche manganellata”. “Dopo aver prontamente archiviato la denuncia dei residenti per lesioni e maltrattamenti da parte della polizia, la procura ha parlato di un piano preordinato per arrivare agli scontri, ma dal processo è venuto fuori tutt’altro – sottolinea Iannone -. In primo luogo, mai è emerso l’atto scritto del prefetto che disponeva l’uso della forza pubblica, cosa alquanto anomala. Inoltre, come testimoniato in aula da forze dell’ordine e residenti, non solo Casapound ha partecipato per quasi tre mesi al presidio pacifico per evitare che si destinasse a centro di accoglienza una struttura non adeguata, ma anche che la resistenza opposta è stata passiva fino all’ultimo, quando la carica si è trasformata in scaramuccia con le prime file, ma mai c’è stata un’aggressione ai danni delle forze dell’ordine. Le prognosi per le lesioni lamentate dagli agenti sono state tutte tra i tre e i cinque giorni, se non in un unico caso relativo a una caduta accidentale, nel quale i giorni dati sono stati 20. Infine, tra le centinaia di persone che quel giorno si trovavano a Casale San Nicola solo 9 sono finite sotto processo per resistenza, e sono tutte di Casapound. Pochi fatti, che, però, messi in fila, chiariscono al di là di ogni ragionevole dubbio come il processo sia stato tutto politico”.

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