Altero Matteoli, un uomo di partito che sapeva trasmettere valori e idee

18 Dic 2017 18:52 - di Mario Landolfi

Un destino beffardo ha voluto che la morte lo cogliesse nei pressi di Capalbio, la meta preferita della sinistra da salotto. Forse non sarà mai accaduto, ma subito viene da pensare a chissà quante volte negli anni lontani della sua militanza missina, dura e disperata come poteva esserlo solo nelle contrade toscane, Altero Matteoli abbia citato quel posto per imbastirci scontri e polemiche. Forse non sarà mai accaduto, ma ci piace immaginarlo ugualmente perché lo sappiamo fin troppo bene che dietro quel corpo senza vita se ne sta andando un altro pezzo di storia della destra italiana. E dobbiamo farcene una ragione in quest’ora di sconforto e dolore. Sì, dolore. Un dolore familiare solo a chi è cresciuto in una comunità politica costretta a coltivare un orgoglio feroce, pari solo alla discriminazione che lo attizzava. Già, perché era figlia di quella temperie l’alterità che ci faceva iperbolicamente sostenere che “il peggiore dei nostri è il migliore del migliore degli altri”. Certo, da allora ne è passata di acqua sotto i ponti ma il senso di quell’appartenenza spalancata e ostentata ci circola ancora dentro, sottotraccia. Persino ora e nonostante l’attuale sarabanda di sigle e di simboli in cui da tempo è rifluita la destra italiana dopo la diaspora. E di quella destra, piaccia o meno, Altero era ancora uno dei pochi a poterne incarnare la complessità e il tormento. Ecco perché ad accogliere la notizia della sua morte, inattesa e violenta, non c’è solo il prammatico “cordoglio” delle istituzioni, ma il dolore autentico di chi ha condiviso innanzitutto una militanza. Sono concetti e termini – non è difficile rendersene conto – oggi desueti nel mondo della personalizzazione della politica e delle leadership mediatiche. Non per Altero, però, per il quale l’appartenenza ad un partito era come una necessità vitale, come avere un tetto sulla testa. Nessuno più e meglio di lui può infatti è stato uomo di partito. Non uno di quegli arruffapopoli tutto amore per la base contro il vertice, ma un dirigente serio e severo, cui non è mai sfuggito il ruolo delle élite e delle classi dirigenti nella lotta politica. Non è certo per caso che anche di recente Berlusconi lo abbia voluto a capo della commissione incaricata di istruire le candidature in vista delle prossime elezioni politiche nonostante non fosse un “nativo” di Forza Italia. Oggi che Altero non c’è più, ci piace pensare che questa scelta non sia solo un riconoscimento alla persona ma anche ad una storia politica che al di là dei tanti errori commessi e dei troppi limiti evidenziati, ha fornito alla giusta battaglia valori, idee e uomini. E Altero è tra questi.

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