Dopo Totò c’è Messina Denaro? Cosa nostra studia la successione a Riina
E’ l’ultimo grande boss della vecchia guardia ancora libero. Se libertà si può chiamare vivere nascosti da 24 anni per sfuggire alla cattura. Ma, tutto questo, non fa, automaticamente, di Matteo Messina Denaro il naturale successore di Totò Riina alla guida di Cosa Nostra. C’è un’atmosfera di attesa, di studio e di analisi fra investigatori e inquirenti per capire come verrà vissuta la morte di Totò “u curtu” all’interno dell’organizzazione mafiosa e chi si appresta a impugnare lo scettro del capo. Ed è quasi ovvio, in qualche modo, inserire fra i papabili il nome di Matteo Messina Denaro, il mafioso trapanese che le leggende raccontano sia innamorato della bella vita, delle belle macchine, delle belle donne, degli abiti firmati e coltivi una passione per Diabolik e per i videogiochi.
Ma investigatori e inquirenti ci vanno con i piedi di piombo. Perché sanno che le cose non sono poi così scontate come sembrano. E perché già una volta hanno fallito, quando indicarono Matteo Messina Denaro, che oggi ha 55 anni, come il naturale successore di Provenzano. «Ho avuto un rapporto particolare con la morte, mi è sempre aleggiata intorno e so riconoscerla. Da ragazzo la sfidavo con leggerezza. Oggi, da uomo maturo, non la sfido. Più semplicemente la prendo a calci in testa perché non la temo, non tanto per un fattore di coraggio, ma più che altro perché non amo la vita», scriveva nei suoi pizzini Messina Denaro ingigantendo l’aura di ammirazione che lo circondava fra i mafiosi.
Ma, d’altra parte, Totò Riina lo stroncò senza mezzi termini. Intercettato nel carcere di Opera dove si trovava detenuto, Riina, fra le molte chiacchiere, se ne uscì così: «Messina Denaro non combatte lo Stato. Era uno dritto, ma non ha fatto niente. Io penso che se ne sia andato all’estero. Questo si sente di comandare, si sente di fare luce dovunque, fa pali (eolici, ndr) per prendere soldi, ma non si interessa di…..».
I ritualismi, che in Cosa Nostra contano molto, prevederebbero una sorta di assemblea per “canonizzare” il nuovo capo. Ma non sono più quelli i tempi. Quella che era stata disegnata dal maxiprocesso come la Cupola, non è più tale. La famosa struttura verticistica sembra non esistere più. Dal 15 gennaio 1993, la Cupola non è stata più riconvocata. Figure carismatiche all’orizzonte non se ne vedono. E l’operatività così come il coordinamento dei mandamenti sembrano frutto della strategia di gruppi sparsi e sparpagliati più che di indicazioni verticistiche. Arresti, processi, confische di beni messi a segno in questi anni hanno sparigliato le carte.
Come sarà, dunque, il dopo Riina? La morte di Provenzano e la scomparsa di Totò “u curtu” hanno creato, questo è certo, un vuoto di potere che qualcuno tenterà comunque di riempire. C’è chi sostiene che Matteo Messina Denaro sarebbe un “cavallo azzoppato” per due motivi: perché lui e il suo entourage sono sotto pressione degli investigatori che arrestano fiancheggiatori e prestanome e che gli stanno facendo il vuoto intorno – soprattutto dal punto di vista finanziario – e perché una sua eventuale candidatura alla guida di Cosa Nostra va contro quella che è la prassi dell’organizzazione mafiosa che prevede capi palermitani mentre lui è del Trapanese. Oltre al fatto che, appunto, il suo “predecessore” lo avrebbe già sfiduciato quel giorno nel carcere di Opera.
L’antimafia, quella militante e quella investigativa – che, ogni tanto, si sovrappongono sgomitando – sembrano molto confuse. C’è chi dice che si chiude un’era. E c’è chi, invece, esorta a non abbassare la guardia. Di certo Cosa Nostra sta cercando un nuovo equilibrio dopo la morte di Totò Riina che ha gestito – e questo è indiscutibile – l’organizzazione mafiosa con il piglio di una dittatura corleonese. Con il senno di poi si può dire che, alla lunga, quel modello non ha vinto. E di questo sono consapevoli tanto gli investigatori quanto gli stessi mafiosi. Alcuni dei quali, con molta probabilità, si stanno interrogando – e non da oggi – come rilanciare Cosa Nostra 4.0.