“Repubblica” detta la linea a Renzi: accordo a sinistra senza programma

12 Nov 2017 12:21 - di Niccolo Silvestri

Tutti insieme (quanto appassionatamente non si sa) «a patto che non si parli di politica». Eh sì, niente più e meglio di un vecchio titolo di Cuore, il supplemento satirico dell’Unità in anni ormai lontani, riuscirebbe a fotografare meglio il paradosso che incombe a sinistra: unirsi nella consapevolezza di essere profondamente divisi su molte cose. A cominciare dal ruolo di Renzi per finire all’articolo 18 passando per l’accordo con Alfano, la politica estera, l’immigrazione e chi più ne più ne metta. La mission impossible di mettere insieme cavoli e merenda se lo è accollato, come spesso avviene nei momenti decisivi, il quotidiano Repubblicasempre meno giornale e sempre più alambicco in cui distillare equilibri, leadership e rapporti a sinistra.

“Repubblica” sponsor della «grande trattativa»

È stato infatti il quotidiano di Largo Fochetti a raccogliere la preoccupazione di Romano Prodi e farne la leva su cui sollevare le disperate prospettive elettorale della gauche italienne. L’idea, attribuita ad Arturo Parisi, l’ultimo in circolazione a definirsi ancora prodiano, sarebbe quella di un «accordo tecnico» in grado di «rendere manifeste le cose che uniscono». Tradotto dal politichese, si tratta di un imbroglio bell’e buono in danno degli elettori. I quali credono di votare per un reggimento prussiano per poi ritrovarsi con la più sbrindellata delle armate Brancaleone. La «grande trattativa», come la definisce enfaticamente Repubblica, registra già fasi di febbrile attivismo. Il tempo, del resto, non abbonda: domani Renzi riunisce la Direzione nazionale e nel Pd risultano già in corso scritture e riscritture di documenti per limare le posizioni: Franceschini si è assunto il ruolo di mediatore mentre l’altro ministro, Orlando, punta a fare da collante per Bersani e D’Alema. L’altro segmento della minoranza, quello guidato dal governatore pugliese Michele Emiliano, interloquisce a sua volta con Piero Grasso che da quando è uscito dal Pd in polemica per la doppia fiducia imposta sul Rosatellum bis, è il vero incubo di Renzi.

Domani direzionale nazionale del Pd

E non è finita perché poi ci sono i Fratoianni, i Vendola, i Pisapia, i Civati tutti piccoli feudatari che più la coerenza programmatica aspettano di capire quali saranno le loro convenienze a intrupparsi in un esercito del genere. «Il filo si può spezzare da un momento all’altro», scrive infatti Repubblica. Ed è così. Per questo diventa fondamentale il soccorso dei «padri nobili», cioè Veltroni, Letta e soprattutto lui, Prodi, l’unico che in passato abbia – seppure in circostanze rocambolesche e fortunate – contrastato con qualche successo Berlusconi e che forse rappresenta l’opzione segreta del giornale-partito. Se così fosse, prima di spegnere la luce, qualcuno avverta Renzi che la rottamazione è finita.

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