Processo Fragalà, la testimone in aula: «ho urlato al killer e poi l’ho inseguito»
Ha urlato al killer mafioso che, a quel punto, è fuggito, «Ehi, Ehi, fermo!». E, poi, si è messa a cercare l’arma del delitto, quel bastone di legno con cui, pochi minuti prima, quella sera del 23 febbraio del 2010, era stato massacrato e ferito a morte l’avvocato Enzo Fragalà, parlamentare di An, che Cosa Nostra voleva punire perché consigliava ai suoi clienti di aprirsi ai magistrati.
Stefania Glorioso, uno dei nove testimoni dell’aggressione a Fragalà che morirà tre giorni dopo all’Ospedale Civico Benfratelli di Palermo dov’era stato ricoverato, ha ricostruito ieri, di fronte ai giudici della Prima Sezione della Corte d’Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta, ai legali di parte civile e ai difensori dei sei imputati, Francesco Castronovo, considerato il killer materiale, Paolo Cocco, anch’egli considerato dai magistrati uno dei due esecutori materiali del delitto, il boss del «mandamento» di Porta Nuova, Francesco Arcuri, considerato dai magistrati il mandante per conto del capomafia di Porta Nuova Gregorio Di Giovanni, i mafiosi del Borgo Vecchio, Antonino Abate, cioè colui che ha coordinato e diretto l’azione e Salvatore Ingrassia e, infine, Antonio Siragusa, cioè colui che avrebbero pianificato l’aggressione finita in omicidio, quei momenti drammatici nel corso dei quali vide l’aggressore picchiare violentemente Fragalà con un bastone fino a lasciarlo esanime a terra, in via Nicolò Turrisi, una strada parallela a piazza Vittorio Emanuele Orlando dove si trova il sorvegliatissimo palazzo di Giustizia di Palermo.
All’epoca la Glorioso, che lavorava come banconista in un bar, era volontaria della Protezione Civile. E si trovava proprio lì, via Nicolò Turrisi, sulla scena del delitto, perché aveva appuntamento con due suoi colleghi della Protezione, per andare insieme ad una riunione: Giovan Battista Bongiorno, vigile del fuoco, e Giuseppe Barracco, portiere di uno stabile della via.
Le telecamere del negozio Mail Boxes su via Turrisi, che poco dopo riprenderanno due dei sei imputati transitare sul luogo del delitto, riprendono la Glorioso che arriva in moto, a bordo del suo Honda Sh. Un particolare importante perché la Glorioso saprà descrivere perfettamente nei due verbali dei carabinieri che la sentono a sommarie informazioni testimoniali il 7 aprile 2010 e il 9 giugno 2012 e che ieri sono stati acquisiti, il modello di scooter, un’Honda Sh, appunto, identico al suo, a bordo del quale il killer e un suo complice fuggono dopo aver massacrato a morte Fragalà. Non prima di essersi disfatti del bastone di legno, quell’arma del delitto che non si troverà: qualcuno ha provvedito a ripulire in maniera scientifica il luogo del crimine.
«Avevo appuntamento con il mio collega Giovanni Bongiorno per andare con un altro collega, Giuseppe Barraco, ad una riunione della Protezione Civile». Il pm palermitano Caterina Malagoli le mostra in aula il video delle telecamere che la riprendono. «Ci siamo salutati con Bongiorno – ricorda Stefania Glorioso – e, a quel punto, ho visto questo signore che veniva colpito a bastonate. Ho visto un uomo con un casco nero in testa che lo picchiava. Abbiamo gridato. C’era accanto a me il mio collega Bongiorno».
Lei grida, all’indirizzo di quell’aggressore. «Ehi, Ehi, fermo!».
Ricorda così quel momento terribile la Glorioso quando mette a fuoco quello che sta accadendo: «mi avvicino piano piano, supero il primo sottopassaggio, supero la Piaggio e urlavo ma ho rallentato. Ero davanti al civico 26. L’aggressore si è girato, ha visto che stavamo avanzando ed è fuggito».
«Ce lo sa descrivere?», chiede il pm Malagoli. «Era alto, circa 1,85-1,90. Robusto, grosso. Aveva un casco nero, integrale. L’aggressore picchiava questo signore che era a terra. Ed è poi scappato. Ci siamo avvicinati, chiedevo al signore a terra come si chiamava ma lui non rispondeva. Ho preso la sua valigetta. E poi l’ho consegnata ai carabinieri, quando sono arrivati».
Stefania Glorioso descrive quel pezzo di legno, quel bastone, con cui il killer colpisce Fragalà: «un pezzo di legno lungo circa un metro, sembrava il manico di una pala». Racconta la fuga dell’aggressore. Lo vede salire su un motorino, sull’Sh, guidato da un complice, «un “motore” bianco, ultimo modello, con le frecce bianche anziché arancioni, guidato da un complice che indossa un casco integrale nero. I due fuggono, percorrendo tutta via Nicolò Turrisi, pochi metri, poi svoltano a destra, verso via Salesio Balsano».
La Glorioso ricorda anche che il killer, seduto sull’Sh, fa il gesto della mano destra come per disfarsi del bastone. E lei sente il rumore del pezzo di legno che urta qualcosa. I due, il killer e il complice, sono all’altezza del garage Calleri».
«Io l’ho inseguito – dirà ai carabinieri a verbale – per vedere dove aveva buttato il bastone. A Bongiorno ho detto: «chiama l’ambulanza». Ho usato il mio cellulare come una torcia per cercare il bastone ma non l’ho trovato. Però ho sentito il rumore del bastone che cadeva».
Sul lato opposto del marciapiede vede avanzare un signore anziano con il cane. E un altro dei 9 testimoni, il pensionato Maurizio Cappello che vedrà, anche lui, in diretta l’aggressione.
Fragalà era a terra, «sulle ginocchia – precisa la Glorioso – non era vigile. Gli facevo domande ma non rispondeva. Gli chiedevo come si chiamava».
Quando arrivano i carabinieri la Glorioso indica loro dove il killer ha lanciato il bastone. E insieme lo cercano senza trovarlo. i carabinieri. Ho detto subito a loro che l’aggressore aveva lanciato il bastone lì e ci siamo messi a cercarlo.
Anche altre tre testimoni oculari, Viviana Friscia, la cognata Tiziana Auriemma e Laura Rita Radicello, hanno confermato ascoltate ieri, hanno confermato le parole di Stefania Glorioso.
Le telecamere dell’allora agenzia della banca Unicredit riprendono dapprima un altro testimone, il Claudio Crapa con il cane e, poco dopo, Viviana Friscia e Tiziana Auriemma. Sono nel galleria sotto ai palazzi che congiunge piazza Vittorio Emanuele Orlando a via Nicolò Turrisi, poiché una delle due abita proprio lì, nel portone difronte a quello dello studio legale Fragalà dal quale pochi minuti prima è uscito l’avvocato andando incontro inconsapevole alla morte.
Le due donne sono lì e vedono passare a passo svelto il killer che transita su via Nicolò Turrisi transitando di fronte a loro. Indossa il casco. «Mi fermo davanti al portone di casa sotto al porticato. E vedo una persona scappare, va a passo veloce, su via Turrisi, verso destra – racconta Viviana Friscia – Ha in mano un bastone. Pensavo fosse stata vittima di un furto perché l’ho visto con il casco in testa». Rivolta alla cognata, Tiziana Auriemma, dice: «forse gli hanno rubato il motorino perché ha il casco in testa. All’epoca mi ricordavo che impugnava il bastone con la mano destra».
Identica la versione della Auriemma: «mia cognata abitava lì nel portico. Lo studio di Fragalà è nello stesso portico, di fronte. L’aggressore andava verso la parruccheria, verso il garage Calleri, verso la scuola elementare. Io mi trovavo sotto ai portici. Ho sentito i colpi di qualcosa. L’uomo era alto circa 1,85-1,90. Vestito con un giubbotto scuro e un casco scuro e pantaloni scuri».
Da un’altra posizione vede l’agguato Laura Rita Radicello: «arrivavo da Corso Finocchiaro Aprile e percorrevo, dall’inizio, via Nicolò Turrisi sulla destra lungo il lato di marcia dalla parte dove c’è Mail Boxes. Vedo una persona a terra. Avevo gli auricolari. Ho visto questo uomo riverso a terra e mi sono avvicinata. Ho visto una persona correre, un uomo imponente». Un racconto che aveva già fatto ai carabinieri il 1 e l’8 marzo del 2010.
Alle prossime udienze, previste il 30 novembre, il 14 dicembre e l’11 gennaio e il 25 gennaio del 2018, saranno sentiti altri testimoni, ufficiali dei carabinieri che hanno svolto le indagini e l’anamopatologo, professor Procaccianti.