Mafia Capitale, Nicola Zingaretti indagato per falsa testimonianza
Interrogato come testimone nell’aula del carcere di Rebibbia al Processo Mafia Capitale il 21 marzo scorso Nicola Zingaretti, governatore del Lazio per conto del Pd, esordì malissimo. Rifiutando, di fronte all’esplicita richiesta del presidente del Tribunale, Rosanna Ianniello, di essere ripreso dalle telecamere dei giornalisti mentre deponeva. Un atteggiamento incomprensibile per un amministratore pubblico chiamato dai magistrati per aiutarli a sollevare, nella massima trasparenza, il velo sulle vicende corruttive della coop di Salvatore Buzzi. Cosa aveva da nascondere Zingaretti durante quella testimonianza? Perché lo infastidivano tanto le telecamere dei giornalisti che lo riprendevano mentre rispondeva alle domande dei pm e dei giudici? Ora la Procura di Roma ha iscritto il nome di Zingaretti nel registro degli indagati con l’accusa di falsa testimonianze dopo che il Tribunale, valutate le risposte del governatore del Lazio nel corso dell’interrogatorio, ha deciso di trasmettere gli atti agli uffici dell’accusa. Con lui è finita indagata, sempre per falsa testimonianza, la deputata Pd Micaela Campana, un peso massimo del Pd romano, ex-moglie del già assessore Pd Daniele Ozzimo finito in carcere e condannato per Mafia Capitale. Una riunione di famiglia del Pd, insomma. Con i nomi più importanti infanganti nella vicenda di Mafia capitale.
Le parole che usa il Tribunale per trasmettere gli atti alla Procura non sono proprio, quel che si dice, una medaglia da appuntarsi sul petto. Né per Zingaretti, nè per la Campana. La questione che ha fatto scrivere ai giudici che Zingaretti da «adito al sospetto di una testimonianza falsa o reticente» ruota intorno alla vicenda dell’appalto per il servizio Recup della Regione Lazio, appalto per il quale è stato processato e, poi, archiviato, il capo di Gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro.
Zingaretti ha escluso, nel corso della testimonianza nell’aula di Rebibbia, «radicalmente e con indignazione – scrivono piuttosto perplessi e ben poco propensi a bersi la cosa i giudici della X Sezione del Tribunale di Roma – qualunque contatto con chiunque per la gara Cup, di cui si sarebbe occupato solo a livello di indirizzo politico nella fase della programmazione». Senonché Zingaretti arriva ad escludere categoricamente di avere avuto contatti perfino con Peppe Cionci, l’uomo che, per Zingaretti, che cura i rapporti economici e con Venafro, appunto, cioè il suo braccio destro.
«Tali dichiarazioni non risultano convincenti – devono ammettere i giudici inviando gli atti ai pm per valutare la falsa testimonianza – alla luce dello stretto rapporto di amicizia di Zingaretti con Cionci (che peraltro avevano facili occasioni di incontro lavorando vicini) e del rapporto di assoluta fiducia tra Zingaretti e Venafro (per come affermato da Zingaretti), delle intercettazioni telefoniche sopra viste sui rapporti tra Buzzi, Forlenza e Cionci durante lo svolgimento della gara, del valore ingente della gara medesima, nonché delle dichiarazioni di Venafro e Scozzafava». Ad accusarlo è Salvatore Buzzi, il ras delle coop di sinistra che Zingaretti, nel corso della testimonianza, ammette, obtorto collo, di conoscere da 15 anni: «l’ho conosciuto come presidente di una cooperativa sociale molto importante nella storia della sinistra di Roma…».
«Tutti elementi – scrivono i giudici della X Sezione del Tribunale di Roma aprendo la strada all’accusa di falsa testimonianza – che appaiono supportare la ricostruzione dell’imputato Buzzi sulla vicenda e che danno adito al sospetto di una testimonianza falsa o reticente di Zingaretti».
«Zingaretti deve chiarire al più presto – dice ora Fabrizio Santori, consigliere regionale del Lazio di Fratelli d’Italia – Va ricordato che la vicenda nasce dal fatto che lo stesso Zingaretti è stato indagato, oltre due anni fa, nel processo di Mafia Capitale. In quel processo Zingaretti è stato ascoltato dai giudici i quali hanno ritenuto opportuno inviare quei verbali alla Procura perché si rilevavano dei gravi profili di falsa testimonianza. Siamo garantisti – precisa Santori – e continuiamo a credere che essere indagati non significhi essere colpevoli. Detto questo, però, il governatore del Lazio non può esimersi da rendere pubblici quei verbali che lo hanno visto protagonista nel processo di Mafia Capitale e spiegare ai cittadini i motivi per cui i giudici hanno ritenuto di segnalarlo per un reato tanto grave quanto quello della falsa testimonianza. Vogliamo capire i legami e i profili di collegamento politico tra lui, il suo staff e alcuni uomini chiave del processo di Mafia Capitale. E’ un fatto di trasparenza e di opportunità politica ed etica, principi che dovrebbero guidare l’azione di un presidente di Regione e dei partiti che lo sostengono. Ci chiediamo se Zingaretti sia ancora nelle condizioni di serenità necessarie per garantire il suo ruolo di governatore fino al termine del mandato».
«Per la seconda volta il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti viene indagato in Mafia Capitale. Un fatto gravissimo – fa eco l’europarlamentare del M5S Fabio Massimo Castaldo – anche per l’entità stessa dell’inchiesta, che ha messo in ginocchio la capitale e la nostra Regione. Sia chiaro, per il nostro codice etico una indagine non è una sentenza di condanna, ma Zingaretti deve assumersene la responsabilità politica. Si è ricandidato a governare la Regione Lazio ed è preoccupante. Quindi chiarisca subito i suoi rapporti con Cionci, suo caro amico-faccendiere nonché finanziatore della sua campagna elettorale».