La secessione di Sappada fa litigare Veneto e Friuli. E FI s’appella al Colle

22 Nov 2017 16:58 - di Valerio Falerni

Mentre il Veneto attende di staccarsi dall’Italia, il comune di Sappada si stacca dal Veneto per unirsi al Friuli Venezia Giulia. La microsecessione è stata approvata dalla Camera dei deputati con 257 voti a favore e 20 contrari. Gongola Deborah Serracchiani («Il voto di oggi è un atto di giustizia reso alla comunità di Sappada»), presidente della regione annettente. Mastica amaro, invece, Luca Zaia governatore di quella veneta. «È l’autonomia, bellezza», verrebbe da dirgli ricordandogli che solo un mese fa egli stesso fu promotore di un referendum popolare (riuscito, purtroppo) per chiedere a Roma redini ancora più larghe.

Ok della Camera al passaggio di Sappada dal Veneto al FVG

Zaia è invece convinto che Sappada abbia scelto di cambiare regione non in quanto comunità di storia e cultura friulana ma poiché attratta dalle condizioni di particolare autonomia di cui gode il Friuli, regione a statuto speciale. Proprio quello che il governatore leghista chiede per la sua regione: «Oggi se ne va Sappada. Domani sarà Cortina d’Ampezzo, poi chissà . Di questo passo daremo uno sbocco al mare al Trentino», ironizza Zaia, che poi invita a riflettere sul fatto  che il Veneto è «l’unico a confinare con due regioni a statuto speciale». I comuni che «ci chiedono di andarsene lo fanno solo verso Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige», mentre «nessuno ci chiede di passare in Lombardia o in Emilia Romagna». A Zaia non piace la risposta dello Stato: «La scelta – sottolinea partendo dalla votazione su Sappada – è quella di usare come cura l’amputazione, invece di riconoscere che quella veneta è una questione cruciale». Di «totale fallimento delle politiche per la montagna di Regione e Stato» parla invece il sindaco di Belluno, Jacopo Massaro.

Brunetta: «Forzate le procedure costituzionali»

Il passaggio di Sappada al Friuli infiamma anche il contesto nazionale: Forza Italia, che sul voto a Montecitorio si è astenuta, attraverso il capogruppo Renato Brunetta, parla di «forzatura ingiustificata» da parte della Camera e annuncia una lettera al presidente Mattarella in cui chiede «al capo dello Stato di non firmare la legge appena votata e di rimandare alle Camere il provvedimento, difendendo così la Costituzione e la correttezza delle procedure democratiche». Un modo per denunciare il rifiuto degli altri gruppi parlamentari e della Boldrini di «non concedere ad un tema così delicato un ulteriore margine di approfondimento e di riflessione»

 

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