Fragalà, una spedizione punitiva simile mise i carabinieri sulla pista giusta
Le telecamere del bancomat della filiale Unicredit Banco di Sicilia lo riprendono mentre porta a spasso il cane quella sera del 23 febbraio di sette anni fa sotto il porticato di piazza Vittorio Emanuele Orlando a Palermo. Sono le 20, 38 minuti e 43 secondi. E lo studente Claudio Crapa non sa che sta per assistere in diretta all’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà da parte dei killer di Cosa Nostra che aspettano il legale sotto al suo studio, nascosti nel buio e armati di bastone, per punirlo di aver convinto alcuni suoi clienti ad aprirsi ai magistrati che indagano.
Oggi Crapa ha ricostruito, da testimone, in aula, all’udienza del processo per l’omicidio di Enzo Fragalà, ciò che vide quella sera di sette anni fa. Confermando i vari verbali resi ai carabinieri nell’immediatezza dei fatti. E raccontando di quel killer con il quale si guardarono negli occhi mentre fuggiva prima di salire sullo scooter guidato da un complice e scomparire nella notte liberandosi dell’arma, un bastone di legno.
Dunque sono le 20, 38 minuti e 5 secondi e l’avvocato Fragalà, parlamentare di Alleanza nazionale, sta uscendo dal suo studio, un fascicolo processuale sotto al braccio sinistro. La telecamera che riprende, dall’interno, l’uscio dello studio legale lo inquadra mentre saluta, per l’ultima volta, la segretaria. Poi si avvia lungo le scale, le discende ed esce all’aperto, sotto al porticato che congiunge piazza Vittorio Emanuele Orlando con via Nicolò Turrisi, una strada a senso unico. E’ lì, aldilà di un cancello a due ante in ferro e alla fine di una lunga rampa in discesa buia, che Enzo Fragalà ha il suo garage. E’ lì che si sta dirigendo a riprendere la sua auto parcheggiata.
Nascosti nel buio di quella sera di febbraio i killer lo stanno spiando per scegliere il momento migliore per l’aggressione. Non lo sanno in quel momento, gli uomini del commando mafioso, ma le telecamere di un negozio Mail Boxes in via Nicolò Turrisi 40 hanno ripreso alcuni di loro – Antonino Siragusa e Salvatore Ingrassia – mentre arrivano sulla scena del delitto e si sistemano, forse per controllare la bastonatura. Così come hanno ripreso, le telecamere del negozio e quelle della Banca, uno dopo l’altro, i nove testimoni, compreso il giovane Claudio Crapa, che, quella sera, assisteranno, increduli e da angolazioni diverse, alle varie fasi dell’aggressione, a quella bastonatura feroce che ferisce mortalmente Enzo Fragalà e alla fuga dei killer su uno scooter Honda Sh bianco.
Come se non bastasse, in quelle ore gli uomini della polizia, senza nulla immaginare, stanno intercettando e georeferenziando i cellulari di alcuni di quei killer del commando per un’altra vicenda. Alcuni di loro in quelle ore sono anche videoripresi. E questo permetterà poi, dopo l’omicidio di Enzo Fragalà, di mettere a posto i vari pezzi del mosaico fino a ricostruire perfettamente, minuto per minuto, la preparazione e l’esecuzione dell’omicidio dell’avvocato Fragalà e la posizione precisa collegando il tutto con le immagini delle telecamere, le testimonianze delle nove persone che sono sul posto, le intercettazioni e la georeferenziazione dei cellulari e, soprattutto, i racconti successivi, anch’essi intercettati, di chi ha partecipato all’agguato mortale.
Sono le 20, 39 minuti circa quando inizia l’aggressione a colpi di bastone. I testimoni, via via inquadrati dalle telecamere, arrivano sul posto quando l’aggressione è già iniziata. E la loro attenzione si accentra su quell’uomo, alto circa 1 metro e 90, vestito di scuro, agile e ben piazzato, con in testa in casco scuro, che si accanisce su Enzo Fragalà colpendolo, ripetutamente, con un bastone di legno, forse la gamba di un tavolo, ipotizzerà qualcuno ripescando nella memoria di quei momenti terribili di sette anni fa. Un’aggressione metodica. Fragalà viene colpito alle gambe. Il professor Procaccianti, il medico legale che ha effettuato l’autopsia e che ha testimoniato anch’egli ieri, in aula, dopo Crapa, parla del killer come di una persona con una notevole forza. Ma anche di un corpo contundente, il bastone, molto robusto, tale da fratturare tibia e perone di Enzo Fragalà.
«Ci siamo guardati prima che fuggisse – ha raccontato oggi in aula Claudio Crapa attirato in via Nicolò Turrisi da quei «rumori di legno» che sentiva provenire da lì – Sono rimasto pietrificato, pronto a incassare un colpo anche io». La scena che vede è terribile: Fragalà a terrà e l’uomo, alto circa 1 metro e 85, che infierisce su di lui con un bastone.
«Ricordo i tratti meridionali dell’aggressore, la sua carnagione più scura della mia, la sua altezza, il suo essere più robusto rispetto a me e quel casco integrale decorato con adesivi colorati a forma di fiori di marca Guru. – continua Crapa ricostruendo in aula, incalzato dal presidente della prima sezione della Corte d’Assise di Palermo Sergio Gulotta e dai pm – Ricordo anche che indossava un bomberino scuro chiuso fino al collo, sembrava impostato. In mano, non saprei dire con quale però, brandiva con forza bruta un bastone di legno, simile alla gamba di un tavolino, non ricordo se fosse tondo o squadrato».
Il killer lo guarda negli occhi. E fugge camminando a passo svelto per raggiungere il complice che lo attende più in là su un Honda Sh bianco. Claudio Crapa ricorda di essersi chinato su Enzo Fragalà tentando di aiutarlo: «Cercava di alzarsi e di parlare, ma non ci riusciva – spiega in aula Crapa -. Non ricordo urla da parte dell’aggressore, né persone che tenevano l’avvocato, ho visto solo una persona. Ricordo però il rumore del bastone che cade, ma non so se è successo subito dopo l’aggressione o durante la fuga». Quel bastone non fu mai ritrovato. Lo cercarono i carabinieri arrivati, poco dopo, sulla scena del delitto. E, prima ancora, lo cercò una delle testimoni che sentì, anche lei, quel rumore del bastone che rotolava per terra, vicino a un negozio di cinesi, mentre il killer faceva un gesto con la mano come per disfarsene. Qualcuno si preoccupò di ripulire, come sa fare molto bene la mafia, il luogo del delitto.
Uno dei 6 imputati, Antonino Siragusa, sostiene di essersi occupato personalmente di recuperare il bastone in via Turrisi. E di averlo poi bruciato in un cassonetto della spazzatura in una traversa di via La Farina. Ma è stato smentito sia da un agente sia dai vigili del Fuoco. Che hanno detto ai pm di non avere mai spento alcun principio di incendio in un cassonetto quella sera.
Dopo Claudio Crapa ieri è stata la volta, in aula, del professor Procaccianti, l’anamopatologo che ha effettuato l’autopsia sul corpo di Enzo Fragalà quando è deceduto, per le gravi ferite riportate, nell’ospedale Civile di Palermo dov’era stato ricoverato subito dopo l’aggressione.
«È morto per le gravi lesioni craniche ed encefaliche determinate da un corpo contundente», ha spiegato Procaccianti confermando che la maggior parte dei colpi sono stati portati sulla sinistra e che Enzo Fragalà ha abbozzato una reazione difensiva alzando le braccia per proteggersi.
Le ferite che il professore elenca in aula restituiscono la brutalità e la ferocia di un agguato che doveva sfociare in un omicidio senza alcuna pietà: Fragalà , ricorda Procaccianti,«aveva lesioni sotto all’orecchio sinistro, due piccoli ematomi nella regionale frontale, frattura delle cartilagini nasali, ematomi nella parte interna di entrambi gli avambracci, che lasciano presumere che lui abbia tentato di difendersi alzando le braccia, e una lesione contusiva nella gamba sinistra: tibia e perone erano rotti». Sulla base di quelle lesioni, in particolare quelle a “stampo” sulla gamba, l’anamopatologo non ha difficoltà a “ricostruire” l’arma utilizzata, un bastone di dimensioni non inferiori a 2 centimetri di diametro per 21 centimetri di lunghezza: «Un mezzo stretto e lungo, ma pesante e di materiale consistente – lo descrive, così, Procaccianti alla Corte e ai pm – Occorre una massa importante per determinare quelle ferite». Quanto al materiale, l’arma era «di legno o metallo o plastica molto dura. Notevole forza viva per infliggere quelle lesioni, soprattutto quelle al cranio».
L’ultimo a parlare in aula è stato il tenente colonnello Antonio Coppola, all’epoca comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo dei carabinieri, che sarà risentito anche alla prossima udienza del 14 dicembre, quando ci sarà il controesame.
Coppola, che ricostruisce in aula i rapporti e le relazioni fra i clan dei mandamenti mafiosi di Porta Nuova, Palermo Centro e Borgo Vecchio, racconta particolari che fanno venire i brividi. E spiega come si è arrivati a ricostruire l’intera vicenda: «ricordo che pioveva, io sono arrivato intorno alle 21. Per risalire all’orario dell’aggressione abbiamo allineato tutti gli elementi a disposizione tra testimonianze, telefonate, tabulati e telecamere, collocandola fra le 20.37 e le 20.41. Lui era una personalità eclettica, abbiamo approfondito tutte le piste possibili».
L’analisi delle celle telefoniche consente ai carabinieri di georeferenziare la posizione di tre dei sei imputati nella zona dell’aggressione: Francesco Arcuri e Antonino Abbate e Antonio Siragusa. Loro erano lì quel giorno, in quelle ore. Su questo non c’è dubbio. Lo stesso Siragusa, senza sapere di essere intercettato, racconta alla compagna cosa sta per accadere in via Nicolò Turrisi rafforzando gli elementi in mano a investigatori e inquirenti.
Poi ci sono le telecamere del negozio Mail Boxes che riprendono Ingrassia e Siragusa passare lì, nel porticato di via Nicolò Turrisi 38, a pochi passi dal luogo in cui si trova Enzo Fragalà a terra. «L’aggressione era appena avvenuta e l’avvocato era ancora a terra, a pochi metri da lì – spiega il tenente colonnello Coppola -. Nelle riprese non si voltano mai in direzione del punto dell’agguato». Un comportamento quantomeno illogico.
Infine l’episodio che spalanca di fronte agli investigatori la pista da seguire: il 19 maggio 2010 avviene un pestaggio che, per modalità, è identico a quello subito da Enzo Fragalà tre mesi prima. «Nella conversazione captata quel giorno intorno alle 18 si capisce che» Francesco Castronovo, Salvatore Ingrassia e Antonino Abbate, imputati per l’omicidio Fragalà «si stavano organizzando per qualcosa che dovevano fare in serata, una spedizione punitiva, si parlava di procurarsi un martello – ha rivelato oggi il tenente colonnello Coppola in aula -. Abbate sarebbe stato presente sul posto ma non doveva farsi vedere dalla vittima. Lo stesso è stato visto poi allontanarsi a bordo di una Smart nelle vicinanze del posto dell’uomo designato, raggiunto poi dagli altri due a bordo di una Vespa blu».