Cocaina nel sangue delle due figlie (3 anni e 8 mesi): denunciato romeno
Era presente cocaina nel sangue delle due bimbe di tre anni e di appena otto mesi abbandonate in auto la scorsa settimana a Borgo San Giacomo, nel Bresciano. Il padre, un romeno, le aveva lasciate in auto per andare a giocare alle slot-machine mentre la madre si prostituiva. Le piccole si trovano ora in una comunità protetta e la Procura per i minorenni ha aperto la pratica di adottabilità per entrambe. «La notizia della positività alla cocaina della bambina più grande, per la piccola non vi era certezza, mi ha stupito moltissimo. Non sono in grado di dire, non essendo medico, con quale tipo di assunzione il valore rinvenuto sia compatibile. Certo è che, anche a escludere una somministrazione volontaria, il solo contatto casuale di una bambina così piccola con questa sostanza è allarmante e gravissimo». Così il procuratore dei Minori di Brescia, Emma Avezzù.
Le bimbe abbandonate in auto e positive alla cocaina
«Già tutto il contesto – degrado del contesto abitativo, abbandono in macchina e motivazioni del gesto – era significativo di un possibile stato di abbandono; la positività alla cocaina poi ci ha determinato, come ufficio, in assoluta comunione di vedute con il sostituto procuratore Lara Ghirardi, a presentare ricorso al Tribunale per i minorenne per l’apertura di procedura per l’eventuale dichiarazione di adottabilità», aggiunge. Un iter «che, però, non è che si decide in tre giorni: va fatta una compiuta istruttoria, verificato dove e come le bambine siano vissute, quale la relazione con i genitori, convocati i genitori» e molto altro. Per il procuratore dei Minori di Brescia, «a fronte di una lesione tanto grave delle esigenze minime dei bambini, l’attivazione dei genitori per poter recuperare il loro ruolo dovrebbe essere tanto più forte. Bisogna dare atto che oggi le risorse per chiedere aiuto e cercare di uscire da questo giro ci sono, e coinvolgere bambini così piccoli in situazioni simili è sintomatico di una inadeguatezza già di per sé gravissima». Se «il nostro ruolo non è di esprimere giudizi morali, ma di capire se e come un bambino possa crescere bene su questi presupposti; è anche doveroso per lo Stato – conclude il procuratore Avezzù – assicurare che il bambino sia rispettato come persona, protetto e amato».