Clamoroso retroscena: Renzi scaricò Visco per uno sgarbo su Etruria (e Boschi)

11 Nov 2017 14:55 - di Redazione

Il retroscena che ha portato il Pd a scaricare il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, con una mozione parlamentare che mise in serio imbarazzo il governo Gentiloni alla vigilia del rinnovo del mandato, lo svela un fonte molto autorevole, l’editorialista della Stampa Marcello Sorgi, che indica una questione precisa, dietro il tentato “golpe” di Renzi: Banca Etruria, quella che tanti guai ha causato al papà di Maria Elena Boschi e alla stessa pupilla di Renzi. Sorgi parla di Bankitalia e del “bombardamento quotidiano di Renzi e dei renziani, che mirano sul quartier generale di Bankitalia per allontanare l’incubo di una campagna elettorale come quella del 2013, in cui Bersani si giocò la vittoria per via del terremoto al Monte dei Paschi di Siena”.

Le fake news renziane su Bankitalia

Sulla Stampa, la ricostruzione dei fatti che precedettero lo scontro tra Renzi e Visco è precisa: “Mai prima d’ora gli uomini del Direttorio, abituati a condurre conversazioni basate solo su dati e numeri certi, avevano dovuto cimentarsi con una campagna elettorale che allinea contro di loro una serie di fake news….”, accusa Sorgi, che spiega: “Ad esempio, non è vero che via Nazionale voleva salvare i banchieri mentre il governo Renzi ha salvato i correntisti; perché ciò che è stato fatto per aiutare i risparmiatori rovinati da banche locali sull’orlo del fallimento, Bankitalia e governo lo fecero insieme; anzi partì dal Governatore, nel novembre 2015, l’iniziativa per evitare che a gennaio 2016 scattasse il «bail in», la tagliola imposta dall’Europa per far sì che fossero i clienti titolari di obbligazioni e di grandi depositi a pagare in parte i salvataggi degli istituti di credito semi-falliti. Né è vero che la riforma delle popolari messa a punto dal governo Renzi non riguardava Banca Etruria, di cui il padre di Maria Elena Boschi era vicepresidente: la riguardava eccome, e soltanto dopo l’approvazione della nuova legge la banca poté essere liquidata e venduta, come Carichieti, Banca Marche e Ferrara, acquistate, si fa per dire, dati i prezzi simbolici, da Ubi Banca e Bper, con il contributo decisivo del fondo bancario di risoluzione, in pratica con i soldi delle altre banche”.

Dall’idillio con Visco all’improvvisa rottura

Sorgi difende il ruolo di Bankitalia, “che ha fornito alle procure di mezza Italia l’elenco delle malversazioni di amministratori imbroglioni” e trovò in Renzi un buon interlocutore anche nel suggerire la riforma delle Popolari. Fino alla rottura, che secondo Sorgi avvenne su Etruria.

“La procedura per il commissariamento di una banca, che molto spesso è l’anticamera della chiusura o della vendita, è infatti molto rigida. Il Governatore, dopo un’istruttoria basata sulle ispezioni e sulle conclusioni della Vigilanza, quando raggiunge il convincimento che il salvataggio è impossibile, scrive di suo pugno una sorta di sentenza di morte, che viene consegnata personalmente al ministro dell’Economia. Il quale, in completa autonomia, firma il decreto di commissariamento. Come negli altri casi, anche per Banca Etruria, commissariata nel febbraio 2014 e «risolta», cioè chiusa e affidata in gestione a Ubi Banca nel novembre dello stesso anno, andò così. E Padoan, su indicazione di Visco, firmò senza proferire parola. Non è dato sapere se e quando Renzi fu avvertito, certo non prima delle decisioni. Nel gruppo delle quattro popolari del Centro Italia, quella che destava più preoccupazioni era la Banca Marche, non certo Etruria. Per il premier, invece, era proprio il contrario”. Uno sgarbo  perdonato a Visco, secondo La Stampa. E sul quale ancora oggi si starebbe consumando la “vendetta” di Renzi.

 

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