Amazon, sciopero nel giorno del Black Friday: ritmi troppo stressanti
«Per lavorare da Amazon? Bisogna avere un “fisico bestiale”». Tommaso, 35 anni, ma il nome è di fantasia, sintetizza così con una citazione di una canzone di Luca Carboni, le difficoltà incontrate ogni giorno dai dipendenti del centro Amazon di Castel San Giovanni vicino a Piacenza. Oggi, nel giorno del Black Friday, tanto atteso per lo shopping online, è stato indetto uno sciopero nello stabilimento italiano del colosso di Seattle. La protesta è stata organizzata dai sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs Uil e Ugl terziario, per chiedere un migliore trattamento economico, oltre a una diversa regolamentazione dei turni di lavoro e riguarda anche “i green badge”. «Ci chiedono di fare i salti mortali in nome della produttività – dice Tommaso – e, allora, abbiamo chiesto anche noi di avere un premio produzione, ma per ora hanno detto di no». Da parte sua il colosso americano ha assicurato che farà di tutto per “mantenere” fede “ai tempi di consegna”, previsti per «i clienti nella giornata del Black Friday e per quelle successive».
Lavoro ad Amazon: «Siamo tutti monitorati»
Nello stabilimento l’età media dei dipendenti è tra i 25 e i 30 anni. Il lavoro, spiega, è organizzato su tre turni di 24 ore su 24 per 7 giorni su 7 «con uno stacco di mezz’ora per non creare ingorghi di posteggio: sono geniali in questo, non c’è che dire». A rendere particolarmente pesante le ore allo stabilimento il cosiddetto “passo Amazon” ossia che «devi fare almeno 120 pezzi in un’ora» nel reparto, dove la merce viene confezionata e spedita. «Nei pacchi multipli, invece, devi raggiungere un altro target», ma in generale diciamo che il calcolo è semplice: due pacchi al minuto. «Siamo tutti monitorati. Chi fa i pacchi è monitorato perché loggato a un computer, mentre chi va a prenderli usa uno scanner su cui si registra con il suo nome. E, quindi, se ti scolleghi per andare in bagno per 5 minuti, poi, è tutto tempo che devi recuperare. Non esagero, ma mi sento come se avessi un braccialetto elettronico».
Dopo un po’, spiega Tommaso, sembrano incentivare l’uscita. «La durata media di un dipendente da noi è di 3 anni, dopo rendi meno e, quindi, ti aiutano ad andare via. Chi va a prelevare la merce dagli scaffali deve fare 20 chilometri al giorno in giro per le Tower di 4 piani, sembrano un bunker con soffitti di oltre 2 metri, gli altri devono avere una bella schiena muscolosa per tenere il ritmo«. Certo, aggiunge, portano lavoro e tanto, ma non c’è futuro professionale. «Ti pagano dei corsi per qualificarti, così, puoi trovarti un’altra occupazione: la patente per fare il camionista oppure quelli da infermiere. Ti danno il giorno di permesso per dare l’esame, in questo sono molto “avanti”. Non ti licenziano, ti danno una mano a cambiare mestiere».
Licenziato per un selfie
Ritmi stressanti e un controllo giornaliero costante. «Non siamo tutti uguali, c’è quello più anziano che non tiene il passo ed è umiliante che ti vengano a far notare ogni singolo errore, chiedendoti “possiamo aiutarti? Che è successo?”. Tra tutti i colleghi “passati” di là, Tommaso ne ricorda uno in particolare. «Era un ragazzino, avrà avuto al massimo 20 anni. L’hanno licenziato per un selfie, fatto con il Pc in dotazione. Avevano ragione perché firmi un contratto di riservatezza, non puoi divulgare immagini o dare informazioni sulle tecnologie e quello che avviene dentro. Ma, certo, era un ragazzino – conclude lasciando trasparire un po’ d’emozione – Ha fatto un errore e l’hanno mandato via, mi è dispiaciuto tantissimo».