Puigdemont, ascesa e declino di un rivoluzionario da operetta

16 Ott 2017 15:39 - di Tito Flavi

Che Carles Puigdemont, presidente di una immaginaria Catalogna indipendente, fosse una sorta di Capitan Fracassa in versione iberica lo si era già capito da tempo, fin da quando aveva organizzato, contro ogni logica e contro ogni buon senso, il referendum-spettacolo del 1 ottobre. Troppa enfasi, troppa  teatralità per non ingenerare il sospetto di trovarsi di fronte a un avventuriero della politica, pronto a fare marcia indietro al primo, serio intoppo.  E la prima dimostrazione di che pasta sia fatto questo signore dai capelli a caschetto l’abbiamo avuta la settimana scorsa, quando ha lasciato con il becco asciutto i suoi sostenitori (e le televisioni di mezzo mondo) annunciando che la dichiarazione d’ “indipendenza” della Catalogna era congelata per una settimana. Una settimana è passata e ora Puigdemont la vuole congelare per due mesi. Mai s’era vista una giravolta più clamorosa e umiliante da parte di un personaggio che fino a due settimane fa prometteva la “rivoluzione” al “popolo” catalano. Se di rivoluzione si può parlare, non potrà che trattarsi di una rivoluzione da operetta.

Ora a Madrid maramaldeggiano. Mariano Rajoy «deplora profondamente» che il presidente catalano Carles Puigdemont abbia «deciso di non rispondere». E la sua vice, Soraya Saenz de Santamaria, è stata anche più dura, intimando al “rivoluzionario” catalano di decidersi entro giovedì, pena l’applicazione del più volte evocato articolo 155 della Costituzione spagnola, con il conseguente commissariamento del governo di Barcellona. Molti, in occasione del “referendum”, deplorarono la durezza di Rajoy, con il massiccio impiego della Guardia Civil. In realtà, alla luce di fatti di questi giorni, appare un decisione saggia, perché ha consentito di smascherare Puigdemont e di dimostrare che non si scherza con l’unità di uno Stato nazionale. 

In tutto questo (inutile) psicodramma c’è comunque una nota positiva. Ed è stata fornita dalle aziende che hanno cominciato a trasferire le loro sedi da Barcellona nei giorni in cui Puigdemont stava facendo credere a tutti che l’indipendenza della Catalogna fosse una fatto possibile e imminente. Il dato positivo sta nel fatto che gli Stati nazionali rimangono necessari, con buona pace dei tanti altri secessionisti da operetta che girano per l’Europa e che s’erano ringalluzziti nelle settimane scorse con le trovate fantasmagoriche di un oscuro politico catalano che pretendeva di entrare nella storia di Spagna e d’Europa. 

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