Più soggetti a depressione i figli di coppie omosessuali: lo studio
Ci si è spesso chiesti durante il dibattito acceso sull’adozione per le coppie omosessuali come e se venisse salvaguardato il benessere psichico del bambino. Naturalmente con eccessivo ottimismo, vista l’enfasi ideologica che ha accompagnato il dibattito, le risposte sono sempre state rassicuranti. Anzi, si sono spesso riportati casi al contrario: famiglie eterosessuali con figli problematici per avvalorare la tesi opposta, con l’ausilio di esperti progressisti e terapeuti politicamente corretti. Ma c’era anche il roveglio della medaglia da mettere sul piatto della discussione. Chi ha provato a farlo è stato tacciato di omofobia e di oscurantismo. Ora intervengono i dati più accertati a supportare i dubbi che i meno ottimisti avevano espresso, numeri che si avvalgono del fattore tempo: quanto un bambino stia stato bene o no in una famiglia etero od omosessulae lo si capisce col tempo, nel corso dell’adolescenza, Ora lo studio Omogenitorialità, filiazione e dintorni della psicologa Elena Canzi, ricercatrice del Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano, presentato da Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli (Vita e pensiero, pagg. 144, euro 15) offre un metodo più rapportato agli standard base della ricerca psico-sociologica, che non rispondenti ai pregiudizi e alla propaganda diffusi. Lo leggiamo sul Giornale.
La depressione aumenta col tempo
Dai dati emerge che all’età media di 28 anni, all’inizio del quarto settennio, «quando è definitivamente conclusa la fase per certi versi eroica dell’infanzia-adolescenza e si entra nella maturità, che compaiono in questi figli i più problematici (finora) segni di difficoltà. Si tratta del disturbo caratteristico di tutta la nostra epoca, quello depressivo, la cui incidenza «cresce in modo esponenziale dal 18% in adolescenza al 51% in età adulta, mentre nel gruppo di figli di coppie eterosessuali diminuisce nel tempo di due punti percentuali con un valore in età adulta pari al 20%». Un dato questo, finora non rilevato, facendo per decenni di loro delle Invisible victims, «vittime invisibili», come li chiama Paul Sullins, autore del recente studio, pubblicato nel 2016». Naturalmente lo studio non parta di un’equazione matematica, della depressione come esito naturale di essere allevati in una famigia gay. Ma è un contraltare scientifico a delle le certezze aprioristiche che altro non sono che “cattiva propaganda”. Altro dato evidenziato è «l’iperattività e deficit di attenzione (Adhd), presenti circa due volte più che nei figli di genitori eterosessuali. Anche perché i due fattori insieme, depressione e Adhd, vanno poi, come è noto, assieme a tutta una serie di altri aspetti: difficoltà nel conseguimento di diplomi scolastici, assunzione di cannabis e altre droghe, problemi emotivi.