“Uno sparo nel buio” racconta uno dei gialli più famosi della Roma anni Venti

3 Set 2017 11:36 - di Renato Berio

Lo scenario è quello della Roma dei primi anni Venti del secolo scorso, con le osterie, i locali futuristi come il Bal Tic Tac dove si suonava il jazz, la vita mondana, le riunioni dei massoni, i giornali che si fanno concorrenza (Il Messaggero e il Giornale d’Italia), gli allenamenti della Lazio, i fascisti che fanno a pugni con gli anarchici e con i comunisti. Su questo sfondo si dipana la vicenda di un processo storico, quello per l’uccisione di Bice Simonetti. Giovane e infelice sposa del dissoluto Ignazio Mesones. Il suo cadavere, al momento della morte, viene attribuito ad un’altra donna. Due anni dopo si giunge alla verità. Il marito viene processato. La città segue con morbosa curiosità tutta la vicenda, dalla quale fioriscono – udienza dopo udienza – scandali pruriginosi. E’ una storia vera, un fatto di cronaca eclatante all’epoca, da cui il giornalista e scrittore Vincenzo Cerracchio ha tratto ispirazione per il suo avvincente romanzo Uno sparo nel buio (fazi, pp. 376, euro 15,00). 

La tragedia di Bice, i retroscena del delitto, le figure che attorno a quell’omicidio si muovono, amanti ambigue, gli avvocati, il giudice, i consulenti: tutto viene filtrato e raccontato con lo sguardo del giovane protagonista, Diego, promettente cronista di nera, ficcanaso quanto basta per dare pensiero alla testata rivale del Messaggero. Chi era davvero Bice Simonetti, una giovane vittima della sua infatuazione per un uomo malvagio? E il marito Ignacio chi era? Un povero malato di mente, per giunta cieco a causa della sifilide, o un perfido seduttore?  

Uno sparo nel buio si può leggere come un legal thriller  ma anche come un romanzo storico e ancora come un’inchiesta giornalistica. Tutte e tre queste componenti danno identità al libro di Cerracchio. L’autore non si è lasciato guidare solo dalla fantasia: infatti ha consultato gli atti del processo all’archivio di Stato, avvalendosi per la sua ricostruzione di una ponderosa documentazione, senza trascurare di citare nel racconto un altro romanzo ispirato al celebre delitto e uscito nel 1922, in contemporanea con lo svolgimento del dibattimento.

La  struttura narrativa è sapientemente organizzata – la scena muta di continuo da un capitolo all’altro senza mai far cadere l’attenzione del lettore – e da essa si innalza anche un inno alla bellezza di Roma, dei suoi paesaggi e dei suoi monumenti. In particolare viene ricostruita la vita dell’epoca, con meticolosa cura dei dettagli,  nelle zone del centro storico e del quartiere Prati. Avvincente anche la narrazione sulla vita di redazione in quegli anni: strumenti antiquati ma tanta passione e un pizzico di necessario coraggio. E si capisce, anche da queste pagine del romanzo, che l’autore vuol così rendere omaggio a quello che un tempo era un mestiere, con i suoi segreti, i suoi trucchi, i suoi pregi e i suoi difetti e che oggi va scomparendo, risucchiato dai titoli acchiappa-click e dall’emotività cafona dei social. 

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