Il rito misterioso della Sacra Corona: “Giuro su questa punta di pugnale…”

21 Set 2017 19:50 - di Redazione

“Giuro su questa punta di pugnale bagnata di sangue, di essere fedele sempre a questo corpo di società di uomini liberi, attivi e affermativi appartenenti alla Sacra corona unita e di rappresentarne ovunque il fondatore, Giuseppe Rogoli”: è uno dei giuramenti degli affiliati alla Sacra Corona Unita, nata la notte di Natale 1981 nel carcere di Trani. L’indagine che ha portatodue giorni fa i carabinieri ad arrestare poco meno di 50 persone appartenenti a due gruppi criminali della frangia mesagnese della Sacra Corona Unita di Brindisi ha accertato il ritorno al rito di affiliazione, come testimonia la conversazione captata nell’auto in uso a Gabriele Leuzzi nel maggio 2014. Nel corso di numerosi dialoghi Gabriele Cucci, che doveva a breve fare “la condanna buona” (così la definiscono nel colloquio), si informava e cercava di memorizzare la formula che a lui sarebbe stato richiesto di pronunciare nel corso del rituale. Le indagini successive all’omicidio di Antonio Presta, esponente ritenuto di primo piano di uno dei gruppi criminali, avvenuto a San Donaci nel 2012 proprio di fronte a un club centro di spaccio, hanno consentito di individuare gli esponenti di due gruppi criminali inseriti in contesti mafiosi, nei comuni di San Donaci e Cellino San Marco, facenti capo rispettivamente a Piero Soleti ed ai fratelli Carlo e Pietro Solazzo, detti “cacafave”, operanti nel settore del traffico e spaccio di sostanze stupefacenti e che si avvalevano anche della disponibilità di armi da fuoco per imporre la loro egemonia in quei territori. Solazzo, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel febbraio 2013, era entrato inizialmente in contrasto col fratello Carlo per poi riappacificarsi e rientrare a pieno titolo nella compagine criminale. I gruppi dei due centri, attraverso i rispettivi capi, i luogotenenti ed i gregari operavano in simbiosi e nel pieno rispetto territoriale, evitando pericolose sovrapposizioni e sconvenienti disaccordi. Si era creato, anzi, una sorta di mutuo soccorso nella gestione delle attività illegali, ma anche nel commettere atti intimidatori, come quello ai danni dell’abitazione del comandante della Stazione Carabinieri di San Donaci, sia che trattasse di approvvigionare droga per le rispettive piazze di spaccio. I due gruppi criminali concentravano le loro energie nell’espansione dei propri interessi attraverso nuove alleanze e canali di approvvigionamento di sostanze stupefacenti in particolare per l’acquisto della cocaina, da immettere sul mercato con enormi vantaggi economici per entrambi. L’assenza di lotte intestine favorivano lo sviluppo delle attività criminali dei due gruppi, consentendo agli affiliati di trarne agevole sostentamento, anche per quelli detenuti e per i loro nuclei familiari. Altro interesse del gruppo di San Donaci erano le armi, reperite tramite il cittadino slavo Gennaro Hajdari, detto Tony Montenegro, che le faceva giungere dall’Est Europa. Il gruppo di Cellino San Marco, guidato dai fratelli Solazzo di avvaleva di una capillare rete di spacciatori, che spacciavano cocaina sia nel centro abitato di Cellino San Marco (per le vie del paese, presso una sala giochi e altri esercizi pubblici) e sia nei paesi limitrofi (Guagnano). La droga veniva approvvigionata da vari canali, naturalmente Torchiarolo, ma anche Oria, Brindisi e Lecce.

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