L’Ungheria annuncia battaglia: “no” alla politica clandestini della Ue

19 Set 2017 13:47 - di Redazione

L’Ungheria userà “tutti i mezzi legali e politici” a sua disposizione per opporsi all’introduzione di un “meccanismo di quote obbligatorie” di richiedenti asilo nell’Ue e, a maggior ragione, di un “meccanismo permanente” di questo genere. Perché “quella che affrontiamo non è una crisi originata dai rifugiati”, ma una “massiccia crisi migratoria”, provocata da “migranti economici”. E alcuni Paesi, come l’Ungheria, non vogliono diventare “terra di immigrazione” come gli Stati occidentali dell’Ue. Lo ha spiegato Zoltan Kovacs, portavoce del governo ungherese, incontrando la stampa a Bruxelles per un briefing. “Anche alla luce” del calo dei numeri, ha detto, “sentiamo ancora la pressione ai nostri confini: abbiamo visto in questo fine settimana 150 persone che hanno tentato di attraversare la barriera, il che significa che i trafficanti stanno aiutando i migranti illegali ad arrivare. Vediamo sempre più persone aggirare la barriera e passare dalla Romania: c’è una nuova rotta che si sta evolvendo, attraverso la Romania e l’Ucraina verso Ungheria, Polonia e Slovacchia. E poi naturalmente c’è il confine italo-austriaco”. Negli ultimi due anni, ha aggiunto Kovacs, “l’Ungheria ha compiuto il suo dovere, per conto di Austria e Germania. Difendiamo noi stessi, certo, ma lavoriamo anche per l’Europa. Il quadro sarebbe molto diverso se tutti avessero compiuto il loro dovere e tutte queste misure fossero state messe in atto prima”. La rotta dei Balcani Occidentali, ha proseguito Kovacs, “è chiusa, perché l’accordo con la Turchia funziona; tuttavia, ci sono decine di migliaia di persone che cercano di arrivare nell’Ue. E non a causa dell’Ungheria, ma perché questa non è una crisi provocata da rifugiati, ma una massiccia crisi migratoria. Sappiamo tutti che non si tratta di rifugiati che fuggono dalla guerra, ma di persone che arrivano da tutto il globo”. “In Ungheria – ha aggiunto Kovacs – abbiamo registrato persone provenienti da 104 Paesi. Questo dimostra chiaramente che, se si vuole essere ingenui, allora continuiamo a definirla una crisi provocata dai rifugiati, quando invece si tratta di una crisi da migrazione economica, e come tale dovrebbe essere gestita. Servono regole e ci sono Paesi che non vogliono diventare terra di immigrazione”, al pari di quelli occidentali. Il “problema politico” che si pone nell’Ue è, anche dopo la decisione della Corte di Giustizia Ue che ha rigettato il ricorso di Slovacchia e Ungheria contro il piano di ricollocamenti, ha continuato Kovacs, “perché costringere gli Stati membri a fare una cosa alla quale hanno chiaramente detto di no. E sappiamo tutti che ci sono piani per avere un sistema permanente di quote” per ridistribuire i rifugiati. “È un problema politico: se non c’è consenso, ha senso attenersi agli standard procedurali? Il meccanismo decisionale dell’Ue dovrebbe essere fondato sul consenso e non sulla maggioranza qualificata. Per noi è un problema: se si va contro il consenso politico, vogliamo davvero un’Ue così?”, ha concluso.

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