L’antifascismo è un altare disadorno. E l’inutile legge Fiano lo dimostra

13 Set 2017 13:03 - di Niccolo Silvestri
antifascismo

Stupisce che i fautori della tesi dell’inutilità del proibizionismo siano gli stessi che in quattro e quattr’otto hanno approvato alla Camera il disegno di legge Fiano che proibisce il saluto romano e la vendita di fiaschi di vino con l’effigie del Duce. Quando il provvedimento sarà definitivamente licenziato dal Senato, chiunque si esibisca nel gesto che fu dei condottieri romani rischia da 2 a 6 anni di carcere, aumentabili di un terzo se «il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici». Vista l’aria, è già una fortuna che la furia iconoclasta dell’antifascismo 2.0 abbia risparmiato i monumenti eretti durante il deprecato Ventennio. Finora, almeno. Ironie a parte, è del tutto evidente che la legge si muove su un terreno assai scivoloso con il rischio di precipitare, oltre che nel ridicolo, nella zona presidiata dai convincimenti e dalle idee. Qualcuno ha obiettato che il ddl Fiano è un obbrobrio giuridico. Obiezione accolta: infatti, poiché scollegata dalle leggi Scelba e Mancino (la prima punisce la ricostituzione del disciolto partito fascista, cioè la realizzazione di un progetto politico ritenuto eversivo, la seconda inasprisce le pene a carico di chiunque si sia macchiato di un comportamento criminoso autonomamente sanzionato dal codice), è destinata a partorire una norma indefinita con il rischio di far diventare condotte penalmente rilevanti i convincimenti interiori e ogni atto finalizzato ad assecondarli. Risultato: a rischiare il carcere sono soprattutto i rivenditori di gadget e i loro clienti. Cioè mezza Predappio, la cittadina natale del Fondatore del fascismo dove si concentra la quasi totalità di questi negozi, e qualche decina di migliaia di nostalgici. Il fatto che tra questi ultimi abbondino i cosiddetti Millenials avrebbe dovuto invece consigliare a Fiano e compagni di chiedersi come e perché Mussolini risulti ancora tanto calamitante per giovanissimi che neppure attraverso i loro genitori hanno potuto conoscere il personaggio né, tantomeno, la sua politica. Se lo avessero fatto, forse si sarebbero accorti che proprio in quel segmento generazionale è in atto una crisi di rigetto verso decenni di menzogne sganciate di volta in volta contro chiunque si avventurasse a mettere in discussione la rendita di posizione lucrata sull’antifascismo da comunisti e sinistra dc; prima Almirante, poi Craxi, infine Berlusconi. Il torcicollo di tanti giovani segnala che quegli altari sono ormai disadorni e che quel culto è in via di sconsacrazione. Tentare di rinverdirne i fasti per legge è operazione stupida e inutile. Esattamente come quella di voler far rivivere il passato. Tempo sarebbe, invece, di liberarsi una volta per tutte dai fumi venefici della propaganda per fare finalmente spazio ad una memoria collettiva più condivisa. A oltre settant’anni dalla fine di quei tragici eventi, è questo l’obiettivo non più differibile.  

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