Con la sua decima fatica, Dunkirk, Nolan coraggiosamente mischia le carte in tavola, realizzando un film, per molti punti di vista, molto atipico rispetto ai precedenti. Prima di tutto la scelta di raccontare un evento storico: Dunkirk è un film di guerra e si allontana dai generi cinematografici a cui ci ha abituato finora. La pellicola tratta di un evento avvenuto nei primi anni della II Guerra Mondiale, l’«Operazione Dynamo», il salvataggio dell’esercito inglese e francese, sconfitto e intrappolato nella cittadina francese di Dunkerque, al confine con la Manica, dall’armata tedesca ormai in procinto di conquistare la Francia.
Quasi in risposta alle critiche di realismo inappropriato (non a caso ricevute per il suo film precedente Interstellar), il regista complica una narrazione storica con il suo tocco tipico di sceneggiatura, dividendo il racconto in tre piani temporali diversi intrecciati tra loro, che si ricongiungono nel finale; ognuno di questi corrisponde alle tre aree dei combattimenti militari, terra, aria e acqua. Sin dalle prime sequenze Nolan immerge lo spettatore in ciò che vive e prova il soldato in guerra. Insiste sui suoni oppressivi dei colpi e delle bombe; la macchina da presa cade a terra con i soldati durante le esplosioni, o affonda insieme alle navi colpite dai sottomarini. Vuole renderci partecipi degli eventi di Dunkerque, come se fossimo anche noi intrappolati in quella spiaggia.
Nolan vuole mettere in scena la sofferenza e l’angoscia vissuta dai militari; una condizione infernale legata a questa situazione specifica, ma tipica di ogni guerra. Inserisce quindi un discorso antimilitarista; tutto ciò che vediamo può essere esteso ad ogni conflitto. L’autore invita a questa riflessione grazie allo sguardo distaccato e oggettivo verso il racconto, non c’è identificazione né con un personaggio in particolare né di conseguenza con una storia personale; gli attori sembrano tutte facce anonime, in omaggio alla scelta di «anti-divismo» (ad esempio Tom Hardy recita praticamente sempre con una maschera).
Una scelta che superficialmente può sembrare un difetto, ma è fondamentale per rafforzare il tema del film. Una visione fredda che aiuta poi a non giudicare i comportamenti condannabili dei protagonisti, ma a comprenderli, poiché questi risultano naturali conseguenze dei traumi vissuti, sicché i personaggi più negativi sono solo vittime, come del resto tutti gli altri. Inoltre la presenza/assenza del nemico, mai rappresentato durante la pellicola, se da un lato aumenta il senso di pericolo, dall’altro rafforza l’attenzione per queste tematiche e la loro universalità.
Nolan non si interessa poi molto al contesto storico; né tantomeno a scendere nella retorica, rappresentando una lotta per la patria o per la libertà, ciò che conta è la sopravvivenza, e in questo senso vanno visti gli atti eroici compiuti dai protagonisti. Dunkirk rinnova l’interesse del regista ad esaltare l’esperienza spettatoriale, la visione del film in sala infatti rende molto di più l’immersione citata in precedenza. La grande considerazione verso questo tipo di fruizione sempre presente nel regista inglese lo accomuna nuovamente a Tarantino; infatti come il suo The Hateful Eight anche Dunkirk è stato girato in pellicola 70mm, formato che migliora considerevolmente la proiezione dell’immagine.
In conclusione, nonostante qualche difetto, un finale troppo ottimistico rispetto al tono del film, Dunkirk è un’opera immensa e anche difficile, ma con grandissime idee cinematografiche. Si inserisce tra le migliori produzioni del regista, risultando più matura rispetto alle precedenti, e capace probabilmente di portare a Nolan la sua prima statuetta.
Dunkirk di Cristopher Nolan. Con Fion Whitehead, Tom Hardy, Harry Stiles, Kenneth Branagh