Venezuela, la Diàz denuncia il colpo di Stato istituzionale da parte di Maduro
Dopo “gli ultimi atti di forza” commessi dal dittatore Nicolas Maduro in Venezuela siamo “ormai davanti a un nuovo governo de facto, dopo un colpo di stato contro la costituzione, contro le leggi e la nostra forma di stato”. A denunciarlo è l’ex procuratrice generale, Luisa Ortega Díaz, rimossa dal suo incarico, come primo atto compiuto dall’Assemblea Costituente voluta da Maduro. In una dichiarazione, la giurista ha ribadito infatti che l’Assemblea costituente, eletta il 30 luglio, e che sei giorni dopo l’ha esautrata, dal suo ruolo di procuratore, è un corpo “illegittimo”, perché la sua elezione non è stata preceduta da un referendum come accaduto nel 1999 quando l’attuale Magna Carta è stata sancita. “Il numero di Paesi e istituzioni che non riconoscono questa autorità incostituzionale e fraudolenta sta diventando sempre più grande, proporzionalmente all’isolamento e alla perdita di legittimità di coloro che intendono rendere il Paese una caserma”, si legge nel testo della dichiarazione, diffuso attraverso il suo account Twitter. Ortega Díaz parla poi di 128 morti come bilancio totale delle manifestazioni in cui ci sono stati “organismi coinvolti in sistematiche violazioni dei diritti umani”. E ha ribadito che almeno il 25% di questi casi è “responsabilità dell’azione diretta delle forze di sicurezza”, mentre nel 60% dei casi “gli organismi responsabili agiscono senza eseguire i mandati di arresto o semplicemente procedono alla consegna dei funzionari coinvolti”. Intanto, dopo l’avvertimento dell’Onu che denuncia “l’uso eccessivo della forza” durante le manifestazioni contro Maduro, i principali Paesi del continente Americano hanno condannato la “rottura dell’ordine democratico” in Venezuela e annunciato che non riconosceranno l’Assemblea Costituente, che il leader venezuelano ha appena eletto, e le decisioni che prenderà. In un documento emesso dopo una riunione di sette ore a Lima, si esprime il “pieno sostegno e solidarietà” al Parlamento controllato dall’opposizione e si condanna “la mancanza di elezioni libere, la violenza, la repressione e la persecuzione politica, l’esistenza di prigionieri politici”. Il testo è stato firmato da 12 paesi dell’America – tra cui Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Paraguay e Perù – ma rappresenta il sentimento di tutti e 17 le nazioni riunite nella capitale peruviana, ha reso noto i ministro degli Esteri del Perù, Ricardo Luna.