Cancro, col supercomputer “Watson” cura svelata in dieci minuti

21 Ago 2017 16:21 - di Redazione
leucemia aids

Analizzare il genoma di un malato di cancro e suggerire il programma terapeutico adatto al caso. Da oggi è possibile grazie a “Watson”, il supercomputer sviluppato da Ibm. Risolve il caso in dieci minuti contro le 160 ore-persona necessarie a un team medico in carne e ossa. A confrontare le performance della macchina e quelle dell’uomo è uno studio pubblicato su Neurology Genetics‘, anticipato online a luglio, rilanciato e commentato sul portale Ieee Spectrum.

Malati di cancro, arriva il supercomputer “Watson”

Il lavoro, frutto di una collaborazione tra il New York Genome Center (Nygc) e il team Watson for Genomic, riguarda il caso di un uomo di 76 anni colpito da un grave glioblastoma, un tumore cerebrale. Operato subito dopo la diagnosi, il paziente è stato sottoposto a tre settimane di radioterapia e ha iniziato un lungo ciclo di chemio. Ma nonostante le migliori cure, è morto entro un anno. I suoi tessuti sono stati sottoposti a un sequenziamento genetico tradizionale (ricerca di alcune mutazioni genetiche collegate al cancro), a una mappatura globale del Dna e all’analisi dell’Rna. I dati sono stati quindi esaminati da Watson e da un’équipe del Nygc composta da un oncologo medico, un neuro-oncologo e un bioinformatico. Il primo risultato evidenziato è che mappare l’intero Dna del paziente, invece che solo un gruppo di geni, benché più impegnativo e costoso può indirizzare meglio il trattamento. Il secondo elemento è la maggiore velocità della macchina nell’analizzare il materiale e suggerire una via terapeutica da seguire. L’uomo però non viene battuto. I medici del Nygc hanno infatti identificato mutazioni in 2 geni del paziente, che considerate insieme invece che singolarmente (e questo tipo di visione almeno al momento resta una ‘prerogativa’ umana), avrebbero indotto i camici bianchi ad arruolare il malato in un trial clinico che attraverso una combinazione di farmaci bersagliava entrambe le alterazioni. Se il paziente fosse stato ancora vivo, sarebbe potuto entrare nello studio e magari aumentare le sue chance di sopravvivere. La morale? L’intelligenza artificiale, insieme a quella umana, possono collaborare per migliorare l’assistenza a chi soffre.

 

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